Esa, per svelare i misteri del clima si recuperano i vecchi dati satellitari dai supporti analogici come i floppy disk

A Frascati Mirko Albani dirige la Missione Heritage e salva le informazioni digitalizzandole su tre diversi media

Mirko Albani (foto Esa)
Mirko Albani (foto Esa)
di Paolo Travisi
Mercoledì 20 Marzo 2024, 12:24 - Ultimo agg. 21 Marzo, 07:39
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È tutta questione di dati. Quando gli scienziati sviluppano complessi modelli previsionali, che si tratti di diffusione di epidemie o di cambiamenti del clima, hanno bisogno di informazioni, numeri, cioè dati.

Maggiore è la loro completezza e maggiori sono le percentuali di accuratezza della previsione. Negli anni Settanta, quando l’uomo ha iniziato ad immaginarsi fuori dal proprio pianeta, le agenzie spaziali, come l’Esa, hanno cominciato ad occuparsi di osservazione della Terra. In quel periodo l’Esa non aveva ancora i suoi satelliti di osservazione, a parte Meteosat per servizi meteoreologici, ma utilizzava dati delle missioni Nasa, dell’agenzia francese o giapponese, quando i loro satelliti passavano sopra l’Europa. Con lo sviluppo della tecnologia satellitare, nel 1991 arrivò la missione pionieristica Earth-1, a cui seguì Earth-2 fino ad arrivare a Copernicus Sentinel, il sistema di osservazione della Terra più potente al mondo, con più sensori e satelliti, coordinato dall’Ue, dove l’Esa ha un ruolo di primissimo piano. I satelliti hanno un determinato periodo di vita, ma i dati che hanno raccolto anno dopo anno restano. E qui sorge un altro problema, quello dell’obsolescenza tecnologica, che si scontra con la necessità di conservare i dati preziosi, anche se archiviati su supporti dei decenni passati.

LA MISSIONE

Ed è qui che entra in gioco il lavoro di Mirko Albani, responsabile dei dati storici satellitari dell’Esa, uno dei pochi esperti al mondo in grado di recuperare informazioni di epoche passate, per renderli disponibili alla comunità scientifica internazionale. A lui si rivolgono scienziati di centri sparsi sulla Terra nel tentativo di poter accedere ad informazioni che altrimenti sarebbero perse. «Pochi giorni fa mi ha chiamato un centro dalle Hawaii che invierà nella nostra sede di Frascati alcuni supporti per essere decifrati - racconta Albani, che spiega le ragioni dell’importanza della sua attività - Se vogliamo confrontare la situazione attuale con il passato, si ha la necessità di analizzare dati vecchi di 30 o 40 anni fa, per comprendere il cambiamento climatico, se il mare sta salendo o i ghiacciai si stanno ritraendo. Per questa ragione Esa ha sviluppato il programma Heritage Mission, il cui obiettivo è continuare a tramandare i dati agli scienziati di tutto il mondo». In tutta questa storia dunque, il vero nemico è il tempo. «La tecnologia si è evoluta in maniera molto rapida negli anni, quindi ad oggi tutti i dati che vengono trasmessi dai satelliti sono immediatamente processati, distribuiti agli utenti, archiviati su diversi media. In passato però, c’era una tecnologia analogica che era l’unica in grado di scrivere i dati in pochi minuti al passaggio di un satellite. Si chiama HDDT, High Density Digital Tapes, delle pizzone di nastri analogici, simili a quelle che contenevano le pellicole del cinema, che pesavano 8-10 kg l’una e potevano contenere fino a 10 giga di dati, una quantità ridicola se pensiamo alla tecnologia di oggi», aggiunge Albani, che nella sede di Frascati ha allestito un vero e proprio museo con questi reperti tecnologici del passato.

LA DIFFICOLTÀ

Il problema è che quando una tecnologia viene superata, è complicato trovare ancora chi può “leggere” certi dati. Un po’ come il passaggio dalle musicassette degli anni Ottanta al digitale di oggi, con la differenza che questi supporti sono stati così popolari, che non è poi così difficile trovarli, ma «qui parliamo di un settore molto più di nicchia, per cui ritrovare un lettore di HDDT funzionante è praticamente una missione quasi impossibile, motivo per cui recuperiamo in giro per il mondo anche i pezzi di ricambio da lettori rotti». Ed infatti, questo esperto della memoria dei dati spaziali, di aneddoti ne ha molti. «Il pizzone si è rovinato e si sono formate delle piccole crepe sulla pellicola. Uno dei nostri ha avuto un’intuizione geniale. Sono delle pizze? Allora cuociamole. E così abbiamo fatto, mettendole in forno tra 60° ed 80°per 12 o 24 ore, quando le crepe hanno iniziato a sciogliersi leggermente e così facendo abbiamo riletto almeno 50mila nastri e recuperato tutto il contenuto». Ancora oggi si continuano ad archiviare i dati su dispositivi fisici. «Si chiamano Linear Tapes (LTO), sono grandi come una piccola scatola di cioccolatini, di 10 cm x 10 cm, dove custodiamo il nostro tesoro, per così dire. Ma di ogni dato ci sono tre copie su media diversi, archiviati in luoghi diversi proprio per evitare che una situazione imprevista distrugga il dato, mentre i dati che noi rendiamo accessibili gratuitamente sono su cloud, collegato al sito dell’Esa». Dal professionale al personale. Nell’era dell’immateriale, dove anche i ricordi come le foto possono andare persi, cosa consiglia? «Stessa cosa. Custodire tre copie di foto e filmati in tre posti diversi, ma lì sono ancora in arretrato, sono arrivato al 2016».

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