La grandinata di richieste di dimissioni, di ogni colore politico, precipitata sul vertici della Rai non spinge Mario Draghi ad accelerare. Il premier preferisce far decantare la situazione e veder diradare i fumi delle artiglierie prima di aprire il dossier sulle nomine della tv pubblica. Di tempo però non ce n'è molto.
L'amministratore delegato Fabrizio Salini e il presidente Marcello Foa, scelti a suo tempo da M5Stelle e Lega, hanno i giorni contati: il consiglio di amministrazione di viale Mazzini scade a fine giugno. E per quella data il governo, tramite il ministero dell'Economia, dovrà indicare chi succederà a Salini e Foa.
Da quel che filtra da ambienti governativi, Draghi appare intenzionato a scegliere in «completa autonomia» il nuovo ad e il nuovo presidente di garanzia (deve ottenere i due terzi della Commissione di Vigilanza), così come farà per Ferrovie e Cassa depositi e prestiti, le altre due società partecipate con i vertici in scadenza. E il Mef ha affidato alla società Egon Zehnder una prima scrematura dei possibili candidati che, al contrario che nelle tornate passate, dovranno essere interni o conoscere bene l'azienda. L'obiettivo: rilanciare gli ascolti e mettere in sicurezza i conti, evitando di scegliere nuovamente dei marziani com'è accaduto con Antonio Campo dell'Orto e lo stesso Salini.
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Tra i nomi che circolano per il ruolo di ad c'è quello di Tinny Andreatta, un passato in Rai e ora in Netflix (questo potrebbe essere un problema a causa della clausola di non concorrenza), molto apprezzata da Enrico Letta. Il segretario del Pd, non a caso, invita Draghi a garantire «una fortissima discontinuità rispetto all'attuale gestione». E chiede ai partiti di «dimostrare non a parole, ma con scelte e atti concreti», di voler rinunciare all'ennesima lottizzazione.
In corsa per i gradi di ad ci sono anche Carlo Nardello (un passato a Raicom) che Luigi Gubitosi ha portato in Tim, Fabio Vaccarono di Google Italia ed Elisabetta Ripa, attuale ceo di Open Fiber sponsorizzata dalla Lega. Ma è probabile che a causa del tetto di 240mila euro di stipendio, imposto dalla legge Madia, alla fine prevalgano scelte interne. In pole: Paolo Del Brocco, ora alla guida di Rai Cinema, e Marco Ciannamea, responsabile dei palinsesti, molto stimato da Matteo Salvini. La prova? Il capo leghista proprio ieri ha messo a verbale: «Basta sinistra, il prossimo ad sia interno».
Per il ruolo di presidente circola forte il nome di Paola Severini Melograni (giornalista e produttrice tv) che se dovesse prevalere l'ipotesi Tinny Andreatta come ad andrebbe a formare il primo ticket in rosa per la tv pubblica.
Quasi completo, invece il puzzle del Cda. Il Pd è pronto a sacrificare Rita Borioni per Silvia Costa o Daniela Tagliafico, ex capo di Rai Quirinale. I 5Stelle vanno verso la conferma di Beatrice Coletti, come dovrebbero essere confermati Igor De Blasio (Lega, su cui però pende un problema di conflitto d'interessi), Riccardo Laganà (rappresentante dei dipendenti) e Gianpaolo Rossi vicino a Fratelli d'Italia. Ma c'è chi fa il nome di Francesco Storace, ex presidente della Vigilanza.
L'IPOTESI FONDAZIONE
Dopo il caso Fedez-Rai è però tornata forte l'invocazione per una riforma della governance. La chiede Giuseppe Conte a nome dei 5Stelle: «Questo è il momento giusto per riformare la Rai e sottrarla alle ingerenze della politica. Buona parte delle forze politiche rappresentate in Parlamento appoggiano il governo e questo può agevolare una convergenza su un progetto riformatore per istituire una fondazione che offra le necessarie garanzie di autorevolezza e pluralismo e diventi l'azionista di riferimento della Rai». La riforma è sollecitata anche dal Pd con il ministro del Lavoro, Andrea Orlando: «Va stabilita una distanza tra la Rai e la politica e ciò è possibile soltanto con la nascita di una fondazione». Ma come dice un altro ministro dem, «di tempo ce n'è poco e tutti parlano di chi mettere in Rai, non di come cambiare la governance della Rai...».