Uccise il boss, pena ridotta per Di Matola

Accolta la tesi della difesa: l'imputato sparò per difendere la famiglia

Il luogo dell'omicidio
Da 18 anni a dieci anni di reclusione. Arriva la riduzione di pena per l'imputato Gianluca Di Matola, accusato dell'omicidio del boss Orazio De Paola. In primo grado - dai...

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Da 18 anni a dieci anni di reclusione. Arriva la riduzione di pena per l'imputato Gianluca Di Matola, accusato dell'omicidio del boss Orazio De Paola. In primo grado - dai giudici della Corte di Assise di Avellino, presieduta dal giudice Lucio Galeota Di Matola era stato condannato a 18 anni di reclusione.

I pubblici ministeri Luigi Iglio e Vincenzo Toscano, al termine della loro requisitoria, chiesero nel dicembre del 2021, 24 anni di reclusione per il reo confesso, detenuto nel carcere di Secondigliano. I giudici della seconda sezione della Corte di Appello di Napoli hanno escluso le attenuanti generiche, riformando la sentenza nei confronti del giovane che l'8 settembre del 2020 uccise a colpi di pistola il boss.
Il procuratore generale della Corte di Appello di Napoli aveva invocato la conferma della condanna inflitta in primo grado. Ma le argomentazioni difensive, la ricostruzione nel quale è maturato il delitto del boss Orazio De Paola, hanno fatto breccia nei giudici partenopei.

I difensori di Di Matola, gli avvocati Alessio Ruoppo e Vittorio Fucci (quest'ultimo, nominato nel grado di appello, ha presentato motivi aggiunti) hanno messo ancora una volta in evidenza che «l'imputato voleva solo difendere un nucleo familiare da continue vessazioni e minacce poste in essere da De Paola». Un clima di vessazioni, fisiche e verbali che la famiglia Di Matola ha subito da parte del boss De Paola per diverso tempo. Ed infatti, i familiari - nel corso dell'istruttoria dibattimentale di primo grado - confermarono che tra Orazio De Paola e l'imputato Di Matola vi erano vecchi dissapori legati alla relazione sentimentale conclusasi tra la donna di De Paola e il fratello dell'imputato Di Matola.

Circostanze confermate dalla compagna della vittima, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, quando è stata ascoltata come teste: «I dissapori che vi erano con l'imputato Gianluca Di Matola, in quanto sono stata legata sentimentalmente con suo fratello Bartolomeo». Infatti dalle indagini effettuate dai carabinieri del comando provinciale di Avellino emerse anche che Di Matola, pregiudicato oltre a ricevere pressioni psicologiche, fu anche picchiato brutalmente dal capoclan De Paola alcuni giorni prima dell'esecuzione mortale. Il delitto fu compiuto l'8 settembre del 2020 in via Castagneto, con l'esplosione di diversi colpi d'arma da fuoco calibro 7.65 che attinsero De Paola in varie parti del corpo: tre proiettili lo raggiunsero al braccio, l'avanbraccio e la mano sinistra. Due colpi, uno dei quali fu letale, invece, lo raggiunsero al fianco sinistro.

Le indagini, nell'immediatezza dei fatti, furono indirizzate in un contesto mafioso, ma successivamente fecero emergere che l'omicidio del boss presunto reggente all'epoca dei fatti del clan Pagnozzi - era maturato per questioni private. In particolare emerse la lite - avvenuta la mattina dell'omicidio - per un post pubblicato dal fratello di Di Matola che aveva offeso Orazio De Paola. Ed ancora nell'ottobre del 2021 era stato lo stesso Gianluca Di Matola a raccontare quanto avvenuto nella mattinata dell'8 settembre 2020: «dovevo fare la comunione a mio figlio e il 12 settembre avrei avuto anche gli imbianchini a casa. Mentre stavo andando a misurare il vestito ho avuto la chiamata da mio cognato, fortemente allarmato. C'era De Paola che stava discutendo con mio fratello. Arrivo a casa e De Paola era arrivato con una bicicletta, entriamo dentro casa e arriva mio fratello e si iniziano a battibeccare, io non stavo capendo nulla. Come vidi che questa discussione stava degenerando diedi uno schiaffo a mio fratello Bartolomeo e gli dissi: «la vuoi finire con lo zio». Ma in quello istante De Paola tirò fuori la pistola, mentre procedeva con la bicicletta, come se nulla fosse verso mia moglie e mio figlio. La pistola gli cadde io la recuperai e iniziai a sparare perché non sapevo se quella persona aveva intenzione di uccidere mia moglie e mio figlio». Di Matola dopo una beve fuga fu bloccato e tratto in arresto dai carabinieri del comando provinciale di Avellino, incastrato anche dalle telecamere di videosorveglianza.
 

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Il Mattino