“Falso made in Italy” agricoltori in rivolta: «Ora raccolta firme»

Coldiretti in prima linea dopo il presidio al Brennero, Masiello: «Indicare l’origine dei prodotti in commercio nell’Ue»

La protesta degli agricoltori al Brennero
«Un furto d’identità e di valore tanti prodotti importati che, di italiano, hanno solo il nome». Lapidaria quanto dura la denuncia di Gennarino Masiello,...

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«Un furto d’identità e di valore tanti prodotti importati che, di italiano, hanno solo il nome». Lapidaria quanto dura la denuncia di Gennarino Masiello, presidente provinciale nonché vice nazionale della Coldiretti, nel commentare i risultati dei due giorni di presidio della sua organizzazione alla frontiera del Brennero. Una mobilitazione che ha visto la partecipazione di oltre cento agricoltori sanniti insieme a migliaia di loro omologhi provenienti da ogni angolo del Paese, allo scopo di verificare che derrate agroalimentari o materie prime destinate alla loro lavorazione trasportate dai tir fossero state coltivate, lavorate e impacchettate alla luce delle disposizioni vigenti nel nostro Paese, sotto ogni profilo e che non fossero rivestiti di «italian sound».

Per capire a che punto giunga il danno di un simile import, basta vedere quello che accade per uno dei settori più significativi del mondo agroalimentare sannita come la zootecnia. Supponendo – ma la stima è prudentissima – che il colpo si aggiri in un calo intorno al 10%, il comparto, che vale complessivamente 45 milioni di euro, ne perde non meno di 4,5. Dall’indagine compiuta su decine di autotrasporti sono emerse conferme ma anche non poche sorprese. Insieme con l’importazione di latte, cosce di maiali destinate a diventare probabilmente «prosciutti nostrani», ortofrutta da Paesi europei, uva dall’India, formaggi dal Nord Europa con nome italiano, «abbiamo addirittura scoperto – svela Angelica De Ieso, presidente dei giovani imprenditori della Coldiretti sanniti – un carico di pomodori San Marzano e pomodorini “col piennolo” in arrivo dall’Olanda». Si è dunque toccata con mano una realtà che provoca enormi danni all’economia, causati da prodotti, anche da quelli di trasformazione, «che della italianità hanno solo il nome. L’italianità – osserva Masiello – ci si appiccica, inevitabilmente, al passaggio doganale. Si attua così una concorrenza sleale contro cui i nostri imprenditori nulla possono: si immettono sul mercato alimenti non realizzati secondo norme lavorative, sanitarie e ambientali identiche a quelle in vigore da noi, a prezzi stracciati».

Alessandro La Bella, presidente di sezione di Molinara, 26 anni, alla guida di un’azienda agricola zootecnica, cerealicola e foraggera, è entusiasta dell’esperienza vissuta, che definisce «bella, ben organizzata e importante per sensibilizzare l’opinione pubblica su queste tematiche. Speriamo – aggiunge - di avere quanto prima un adeguamento normativo che imponga di riportare in modo ben visibile l’origine del prodotto in etichetta, oltre l’imposizione di maggiori regole sulla sua rintracciabilità e dei metodi di produzione». In sintonia Lorenzo Martucci, 20 anni, a capo di un’impresa agricola a Castelpagano: «Ho avuto modo di scoprire a che punto si danneggi il nostro lavoro, mortificandone la redditività. Servono norme appropriate. L’obiettivo è fornire al consumatore uno strumento per avere consapevolezza su quello che decide di acquistare». L’esperienza vissuta ai confini con l’Austria non resterà un episodio isolato ma si continuerà con una iniziativa individuata nel corso del sit-in. «Da subito – chiarisce Masiello - avvieremo una raccolta di firme perché si estenda l’obbligo dell’indicazione di origine a tutti i prodotti alimentari in commercio nella Ue». «Ci metteremo al lavoro – gli fa eco il direttore provinciale Gerardo Dell’Orto – per allestire gazebo in ogni nostra manifestazione e punti di raccolta nelle nostre sedi provinciali».

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Il Mattino