Del lavoro che rischia di perdere, dei sacrifici e dell'angoscia, non parla con sua figlia. «Ha 16 anni e non sa niente della crisi». Non sa che suo padre lotta...
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Gianni ha 46 anni, due figli e lavora ad Almaviva, nella sede di Napoli. Può definirsi «bravo» nell'incassare colpi. «Ho una certa esperienza», afferma senza ironia, perché (quasi) ogni suo «buon giorno», da tre lustri, inizia con gli insulti: al call center, quando già va bene che è di turno, alle prese con le lamentele dei clienti delle compagnie telefoniche. Ma Paone oggi resta lontano dalla sua postazione: è in solidarietà, a causa del crollo di commesse in azienda. Ed è qui, al Mattino, davanti alle telecamere della web tv, in una dimensione più intima della protesta, che dà forma ai ricordi, ai timori.
Le speranze di una vita sono minate dal pericolo del licenziamento. «Che potrebbe scattare a dicembre, prima di Natale», spiega. «Il mercato estero ci stritola. Eppure, basterebbe solo far rispettare le regole: questo chiedo al governo, che ha aperto un tavolo sulla vertenza; io ho già tagliato spese e desideri». Perché tutta la famiglia si regge su uno stipendio, il suo, «che oscilla tra i 1300 e i 1400 euro al mese e serve anche per le terapie mediche dovute all'handicap», e invece si avvicina il terribile «reddito zero». Afferma d'un fiato: «Per risparmiare, rinunciamo alle vacanze, a uscire la sera, ad andare al cinema, e prepariamo la pizza in casa. Ma non possiamo farcela da soli». Questa storia, carica di simboli, non è isolata: «Tra Napoli e Roma, siamo più di duemila, disperati».
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Il Mattino