È già libero uno dei quattro ladri che dopo aver seminato il panico a Caserta hanno innescato un inseguimento provocando la morte del carabiniere Emanuele Reali. Per...
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LA DECISIONE
Pengue ha fatto da p alo mentre gli altri ripulivano una casa di via Alfieri, a poca distanza dal binario dove, in serata, si è consumata la tragedia. Avevano ricetrasmittenti, armi giocattolo e arnesi da scasso. E gli altri due, Pasquale Reale, fermato in mattinata con Pengue, e Salvatore Salvati, bloccato invece nei minuti che hanno preceduto il dramma, sono ai domiciliari. Vivono a Napoli, come detto, il primo in via Majorana, il secondo in via Catone. Dove si sta concentrando la caccia all’uomo. I carabinieri del comando provinciale di Caserta, diretti dal colonnello Alberto Maestri, intendono continuare ciò che il loro collega ha cercato di portare a termine a tutti i costi, fino a rimanere ucciso. In silenzio, con la solita determinazione, i militari stanno lavorando per chiudere il cerchio e dare un senso al sacrificio del dovere compiuto da Reali. Ma ieri, quando l’esito dell’udienza di convalida è diventata nota, una sensazione di impotenza avrà pervaso l’animo dei tanti colleghi di Emanuele che con lui hanno condiviso quel senso del dovere che va oltre la vita stessa. Accusati di furto pluriaggravato e resistenza, i tre indagati torneranno in udienza a dicembre. Hanno chiesto i termini a difesa.
LE RICERCHE
Forse sceglierà una strategia analoga il quarto uomo, colui che scappando lungo i binari della stazione ferroviaria di Caserta si è tirato dietro il vicebrigadiere. Che poi è balzato di lato, si è messo in salvo, poco prima che sopraggiungesse il treno che ha ucciso il militare. Quei centimetri che separavano l’inseguito dall’inseguitore hanno marcato la linea tra la vita e la morte. Distanze impercettibili che spesso si rivelano fatali. Incomprensibili. Come quelle giuridiche che impongono alla magistratura di mandare libero uno dei tre ladri che, dopotutto, non hanno rubato che un robot da cucina e un aspirapolvere. Un bottino miserabile che avrebbe fruttato più o meno 150 euro. Difesi dagli avvocati Vincenzo Strazzullo, Marco Bernardo e Gandolfo Geraci, i tre indagati risponderanno anche a processo solo del furto. Lo stesso reato che verrà contestato al quarto uomo quando sarà catturato o magari andrà a costituirsi, asfissiato dal pressing dei carabinieri. E anche lui, probabilmente, tornerà a casa, ai domiciliari, o scarcerato. Mentre il vicebrigadiere è morto per servire lo Stato. E con la sua vita si sono fermate le esistenze della giovane moglie, Matilde, e delle loro bambine. Da grandi conosceranno la storia del papà. Sapranno come vive e come muore un eroe in un Paese che spesso condanna alla gloria chi si vota semplicemente al dovere.
LA RABBIA
Ieri sera Matilde, ha voluto vedere il corpo del marito. L’ultimo bacio. La disperazione ha il sapore della beffa. «Emanuele era innamorato del suo mestiere, ma questo non è un lavoro del quale ti puoi innamorare. Loro li arrestano, i giudici li mandano fuori». L’amaro sfogo del papà di Emanuele, Vittorio. Prima ancora che si sapesse dell’udienza a Santa Maria Capua Vetere. Sta tutta qua, nelle parole di un padre che perde un figlio esemplare, la fine del giorno. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino