L’inchiesta della Dda di Venezia alza il velo su business di ultimissima ora gestiti dalla camorra in Veneto. Non solo gli impianti di biogas, costruiti grazie a politici...
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Ma non c’è solo il denaro vero tra i business che, dal 2016, i Casalesi del Veneto avrebbero messo in piedi. C’è, infatti, anche il traffico di valuta estera contraffatta che Donadio gestirebbe assieme a un gruppo di siciliani e di calabresi. Nelle intercettazioni si parla di lire, bolivar e di dinari iracheni, «cavalli e rossi», entrati in vigore dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Donadio è a capo dell’intera gestione e si serve di una banca in Austria che, consapevolmente, farebbe girare i soldi falsi. Un’altra parte del denaro contraffatto verrebbe invece messo in circolo attraverso contatti del Trentino. La percentuale di guadagno di cui parlano gli indagati è del 40 per cento.
Le conversazioni che aprono l’ennesimo scenario investigativo sono intercorse tra Donadio, Di Corrado, Claudio e Umberto Casella, entrambi di Brescia, Tommaso Pizzo, di Marsala, Costantino Positò, di Cosenza. Un gruppo variegato sia nei ruoli che per provenienza geografica che si coalizza intorno al leader indiscusso, il campano Donadio. Ché, nel Veneto, il boss è lui E forse anche altrove. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino