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C'è chi ha imparato a tinteggiare una parete, chi a impastare la calce, qualcuno ha rispolverato gli arnesi dell'officina e qualcun altro ha scoperto di cavarsela più che bene in cucina. Tutti sono impegnati in lavori di pubblica utilità. Dalla pulizia di piazze, strade e parchi pubblici alla manutenzione del verde. Sono i detenuti in esecuzione penale esterna che, attraverso il progetto "Porte aperte alla città", stanno svolgendo attività formative e lavorative finalizzate al reinserimento sociale.
Il progetto, promosso dal Comune di Caserta, dall'associazione "Noi voci di donne" e dal Dipartimento di giustizia minorile di comunità, è giunto quest'anno alla quinta edizione e consente - a coloro ai quali è stato concesso di scontare gli ultimi mesi di pena fuori dal carcere - di seguire un percorso riabilitativo. Una scommessa che ha il sapore della sfida. In gioco c'è il riscatto della propria dignità e una piena integrazione, al riparo dai pregiudizi e dall'emarginazione che spesso attanaglia l'esistenza di chi, dopo aver scontato la pena, torna in libertà. È il caso di Enzo, 39 anni, un passato da spacciatore e cinque anni dietro le sbarre. Una esperienza che lo ha segnato nel profondo e che «oggi dice non rifarei».
Sposato e padre di un bimbo di appena due mesi, ha deciso di chiudere definitivamente con ciò che è stato: «So di aver sbagliato e sto pagando per gli errori commessi - racconta - ma spero mi venga concessa una seconda possibilità. Da quando sono qui ho riscoperto le mie capacità manuali, una volta ero un fabbro, mi piace creare con il ferro e realizzare opere artigianali. Molti di questi oggetti verranno persino messi in mostra».
Ernesto invece è un meccanico, originario di Roma, l'amore lo ha portato in provincia di Caserta ma la relazione si è conclusa bruscamente con l'accusa di maltrattamenti e la condanna ai servizi sociali. Per lui un percorso di nove mesi «durante i quali racconta ho imparato a fare l'imbianchino». Molto più complesso il caso di Alessandro, che dal '93 è stato più volte in carcere per furto, rapina, porto abusivo di armi. Poi è subentrata la tossicodipendenza che lo ha portato in una comunità di recupero per due anni, infine questo progetto in corso alla Sacchi. «A 51 anni ho capito cosa conta veramente nella vita riflette ho riscoperto i valori che avevo perso e sto cercando di recuperare il rapporto con la mia famiglia. Non vedo l'ora di ricominciare a lavorare. Prima di finire in carcere facevo l'operaio, asfaltavo le strade, non sapevo fare altro. Qui ho imparato tanti altri mestieri e sono pronto a ripartire».
«Gestiamo in media 120 casi all'anno tra affidamenti e messi alla prova - dichiara Pina Farina, presidente di "Noi voci di donne" che lavora a stretto contatto con la direttrice dell'Uepe di Caserta, Maria Laura Forte dietro ogni fascicolo c'è una storia, spesse volte drammatica. Ci troviamo di fronte a vite sospese, esistenze segnate che non chiedono altro che riscatto. Il primo passo è quello di fornire loro formazione e competenze, che potranno spendere nel mercato del lavoro, attraverso corsi e laboratori. In primis, quello per la lavorazione del ferro e del legno, poi quelli di primo soccorso, ma anche i corsi di cucina e quello per pizzaioli. Lo step successivo coinvolge invece l'aspetto sociale, quello di rendersi utili alla collettività attraverso interventi di rigenerazione urbana. Prossimamente saranno impegnati in piazza Carlo di Borbone, in piazza Vanvitelli e anche al Belvedere di San Leucio. Nel frattempo, stanno già svolgendo lavori di manutenzione alla caserma Sacchi e hanno terminato un intervento negli uffici dell'Uepe in via Tanucci».Leggi l'articolo completo su
Il Mattino