Arcangelo, i Fiori irpini in mostra a Parigi

Le sue opere sono transizioni inusuali in cui la natura e l'arte, la bellezza e la memoria, appaiono interscambiabili perché raccontano storie d'intimità

Arcangelo, i Fiori irpini in mostra a Parigi
Visioni immaginifiche, trascrizioni di sedimenti, traslazioni di scorie di vita. Arcangelo maneggia la cultura visiva come una contro-narrazione, un cambio di prospettiva gioioso...

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Visioni immaginifiche, trascrizioni di sedimenti, traslazioni di scorie di vita. Arcangelo maneggia la cultura visiva come una contro-narrazione, un cambio di prospettiva gioioso e lirico, libero, dove la sua creatività incrocia quel luogo interiore in cui memoria e radici s'incontrano eludendo l'angoscia.

La dimensione classica della pittura viene evocata in composizioni che hanno un inedito rapporto alla pari con il sogno: intuizione audace ed esaltante che travalica dogmi accademici.

«Le mie mani toccano la terra e con la terra dipingo paesaggi», dice fiero dell'appartenenza a un'eredità culturale, quella sannita e irpina, che lo ha portato a un gesto scarnificato, all'uso di materiali poveri come carboni e pigmenti puri.

Forte di tutto questo bagaglio, l'artista avellinese torna a Parigi con «Terra mea» che inaugura alla galleria Mazarine Variation (vernissage oggi ore 18, rue Mazarine 26, fino al 27 maggio) ospite di Marussa Gravagnuolo e Christine Lahoud.

Una mostra radicalmente floreale, nata nel suo atelier di San Nazzaro in provincia di Benevento, che propone «Fiori irpini», «Fiori di Croco», «Ulivi» insieme a piccoli paesaggi che rimandano alla tradizione del vedutismo.

Le sue opere sono transizioni inusuali in cui la natura e l'arte, la bellezza e la memoria, appaiono interscambiabili perché raccontano storie d'intimità: un mondo fatto di segni potenti, colori decisi, ammiccamenti di piante, fiori e piccole presenze umane che vanno a comporre una visionarietà lontana da ogni ferocia.

I fiori soprattutto, si incarnano nello spazio che li accoglie: come presenze improvvise - ospiti inattesi? - prendono forma dando forza all'atto creativo. Mai come in questo caso il gesto dell'artista si veste di magia, di una forza capace di circoscrivere il segno nello spazio prefissato, consegnandolo al tempo.

Il risultato è uno sguardo felice: debitore alla sua confidenza con la terra, Arcangelo rende definitivo il passaggio di fiori, ulivi e campagne in opera d'arte.

La forza della memoria contadina che lui porta nelle tele, rende le opere come dipinti mentali: quelle figure, quelle situazioni evocate dal ricordo, assumono una corporeità affiorando da gesti primari.

Così prende il via una narrazione visionaria e onirica, che vive nella semplicità definitiva delle forme evocate, in costante tensione dialettica con i pieni e i vuoti, con i colori e le ruggini, e con un mondo di rami, foglie pistilli, legni, e soprattutto terra. Anche il paesaggio assume le fattezze di una natura corporea, benché spesso astratta, testimone di storie personali, di viaggi, ma evocatrice pure di archetipi e miti. 

D'altronde Arcangelo pur se nato ad Avellino (nel 1956), vive e lavora a Milano ed è cittadino del mondo, artista radicato nelle culture di altri paesi, grande sperimentatore e spirito libero, che alla pittura ha sempre affiancato anche la scultura, fondendo l'esperienza visiva ad altri linguaggi come la poesia, collaborando tra gli altri con Alda Merini e Maurizio Cucchi.

Incontro inevitabile visto che i suoi quadri, con tutta la loro struggente bellezza, sono portatori proprio di una feconda spinta poetica. 

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Il Mattino