Yasunari Nakagomi, The texture of dreams nella reggia di Portici

Nato a Yamanashi, Nakagomi è rimasto affascinato dal golfo di Napoli

Quei paesaggi di Nakagomi sospesi tra sogno e memoria
Racconta luoghi mentali, spazi dell'anima, dimensioni metafisiche. Attraverso un'evanescenza cromatica che sconfina nell'annebbiamento della percezione visiva, che...

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Racconta luoghi mentali, spazi dell'anima, dimensioni metafisiche. Attraverso un'evanescenza cromatica che sconfina nell'annebbiamento della percezione visiva, che trasforma il particolare in qualcosa di universale. Yasunari Nakagomi, artista giapponese di fama internazionale, realizza «landscape», paesaggi emotivi sulla linea di un orizzonte immaginario, nei quali lo spettatore ritrova visioni del proprio inconscio e creando così un incontro inatteso tra l'autore e il suo pubblico.

Sono lavori intensamente poetici e morbidamente seduttivi, da indagare non con lo sguardo della ragione ma con quello del cuore quelli di «The texture of dreams», la personale dell'artista nipponico, curata da Cynthia Penna di Art1307, che inaugura sabato alle 12 nelle sale del Museo herculanense alla reggia di Portici. In mostra fino al 29 maggio un corpus di opere espressamente concepite per Napoli, dove oramai da quasi dieci anni ritorna costantemente: si tratta di una ventina di dipinti su tela trattata con sottilissime stratificazioni di gesso (anche dorato o argentato) che la ricoprono come una seconda pelle, sulla quale vengono poi stesi i colori.

Nato a Yamanashi, città tra le montagne non lontana dal monte Fuji (un vulcano, come il Vesuvio), Nakagomi - che lavora tra Giappone, Europa e Stati Uniti - è rimasto affascinato dal golfo partenopeo, dalla possibilità di guardare e studiare il mare con tutte le diverse luci della giornata. Per l'artista l'imprinting del luogo, del paesaggio e dell'ambiente esercitato sulla vita e sulla cultura di ciascuno di noi costituisce uno dei momenti fondamentali dell'esistenza. I suoi sono paesaggi inventati, onirici eppure connessi a immagini della memoria, dipinti fin dall'infanzia. In questo progetto espositivo esplora proprio quel qualcosa di non identificabile, quelle visioni emozionali che l'uomo porta dentro di sé.

«Il lessico di Nakagomi, forgiato in uno stile che costituisce il punto di congiunzione tra poetica orientale e dinamicità dei contrasti propri del mondo occidentale», scrive la curatrice Penna nel testo di presentazione, «si attesta su una percezione della scena paesaggistica piuttosto che su una realtà identificata: il suo è un paesaggio post-pastorale espunto da qualsiasi riferimento ad una natura reale che è pur presente, ma lontana, sfocata come in un sogno o in un ricordo dal tratto incerto». Osservando questi dipinti si riesce quasi sempre ad identificare uno spazio reale, il ricordo di un luogo esistito e vissuto, che riposa nel nostro inconscio. Consolatori ma anche inquietanti, misteriosi e ammalianti, i dipinti raccontano una metafisica del paesaggio che è interiorità, intimità, sfera recondita dei nostri pensieri. Nakagomi trasforma la tradizione paesaggistica del Sol Levante - votata all'armonia come principio filosofico di bilanciamento tra finito e infinito, e di una natura rappresentata a livello cosmico - in un soggetto nuovo, libero da ogni sussulto figurativo, attraverso fendenti di luce mutuati dal Barocco italiano. Oppure quella ritratta è una luminosità irradiata, che ricorda i grandi quadri di Turner così intrisi di visionarietà affatata.

Più che veri e propri paesaggi, quelli proposti da Nakagomi sono spazi, trasparenze, foschie, nebbie avvolgenti, lampi di luce che illuminano una scena irreale, impalpabile, eterea. Verdi intensi, gialli caldi, blu profondi suggeriscono luoghi percettivi che invitano ad immergersi in dimensioni oniriche, fatte della stessa materia di cui - secondo Shakespeare - sono fatti i sogni. 

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Il Mattino