La cazzaria, un manoscritto «salva» il più antico libro libertino

Nel corso dei secoli la Chiesa ha cercato di distruggerne tutti gli esemplari, riuscendo quasi perfettamente a cancellare le tracce del libro

La cazzaria (1531) del senese Antonio Vignale
Il più antico dei testi osceni e libertini della letteratura occidentale, La cazzaria (1531) del senese Antonio Vignale, è un'opera in forma di dialogo in cui...

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Il più antico dei testi osceni e libertini della letteratura occidentale, La cazzaria (1531) del senese Antonio Vignale, è un'opera in forma di dialogo in cui due uomini, Arsiccio e Sodo, membri dell'accademia degli Intronati, trattano «dell'arte del fottere», con il primo che spiega all'altro i piaceri del sesso, in particolare quello anale, e mette all'indice i preti, perché in pubblico contrari ai piaceri carnali ma poi accusati di sollazzarsi con donne e bambini.

Facile capire, a questo punto, perché chi era sorpreso a leggere La cazzaria (evitiamo il dibattito su che cosa significhi precisamente) fosse condannato a morte dall'Inquisizione per blasfemia e sodomia. Nel corso dei secoli la Chiesa ha cercato di distruggerne tutti gli esemplari, riuscendo quasi perfettamente a cancellare le tracce del libro, considerato più che scandaloso, peccaminoso. Secondo gli studiosi al mondo ne erano sopravvissuti solo un paio di copie originali, tra Francia e Spagna.

In alcuni testi ottocenteschi, però, si faceva riferimento a un'edizione napoletana del 1540, indicata come l'«editio princeps», mai scovata da nessuno. In circolazione, fino ad oggi, giravano così copie lacunose e scientificamente inattendibili. L'anno scorso un gruppo di filologi e storici dell'università del Kansas ha scoperto una copia anastatica ottocentesca (manoscritto K) dell'edizione originale cinquecentesca napoletana, adesso pubblicata dalla Cesati (pagine 172, euro 18) a cura di Fabian Alfie, che firma l'introduzione in inglese. 

E veniamo al testo, che farebbe arrossire il divin marchese De Sade, e sorprende per i contenuti espliciti e l'oscenità delle espressioni, considerando che è stata scritta quasi cinquecento anni fa. Nell'incipit Arsiccio, rivolgendosi a Sodo e idealmente a ogni lettore, sottolinea che se la filosofia «deve avere cognizione delle cose naturali», allora «essendo il cazzo cosa naturale, e la potta ed il fottere cose naturalissime e necessarie all'esser nostro, mi pare grandissimo vituperio che tu te ne faccia ignorante».

L'allievo protesta, si giustifica citando i poeti e i cantori dell'amore e dei buoni sentimenti, «cose più perfette e di più gloria e di maggior onore». Arsiccio, convinto che il meglio della vita stia tutto tra genitali e dintorni dileggia a quel punt anche i poeti («i letterati hanno una foia smisurata»), che «per sublimità d'ingegno» superano tutti, tranne forse i frati, «nelle acute e sottili invenzioni» di sempre nuove posizioni. 

E via a discorrere del piacere garantito dal saper praticare al meglio l'ars amandi e delle donne alla perenne ricerca di partner molto dotati. L'opera si conclude con la promessa di un secondo libro degno del primo, che approfondisca quanto lasciato sin qui vergine, si fa per dire, e poi immagina una rivoluzione ordita da vagine, orifizi vari, testicoli e piccoli peni contro la tirannia dei grandi peni, capeggiati da un generale che inevitabilmente si chiama Cazzone. Una surreale battaglia finale che si disputa dalle parti del Culiseo, altro gioco di parole pecoreccio: i contemporanei non hanno inventato nulla neppure su questo fronte. Sembra quasi di vedere un cartone animato porno di quelli che saranno di moda, nonostante i divieti, diversi secoli dopo.

Nella pagina conclusiva c'è scritto «impressa in Napoli, ad instantia di Curtio et Scipione Nani», ma niente si è riuscito a scoprire sui due tipografi se non che dovevano essere probabilmente fratelli. Di Vignale si sa qualcosa. Pur avendo usato lo pseudonimo di Arsiccio Intronato per firmare La cazzaria, fu presto individuato come l'autore del testo e fuggì in esilio a Milano, dove scrisse un libro sui proverbi e i modi di dire e morì a 59 anni nel 1559. 

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Il Mattino