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«Ammore mio busciardo, ammore mio, nun t si fatt cchiù monaca santa...». Roberto De Simone racconta che la struggente «Ammore busciardo» di Di Gianni-Barile ha ispirato l'Eduardo di Napoli milionaria sulla guerra e sulle sue dolorose conseguenze. Non è un caso, quindi, che la popolare canzone del 1944 faccia da colonna sonora a uno dei più bei romanzi di questo 2020 di ombre cupe, anzi di «malombre» come titola, appunto, l'ultimo libro di Manlio Castagna, «La notte delle Malombre» (Mondadori, ottobre 2020, 276 pagine, 17 euro) impreziosito dalle illustrazioni di Paolo Domeniconi e dalla cover - ricorda le copertine della Domenica del Corriere tra anni Quaranta e Cinquanta - di Stefano Moro. È l'arco temporale in cui è ambientato questa favola dark d'amore e d'iniziazione (temi cari allo scrittore salernitano), ispirata «ad una sconvolgente storia vera», in cui la cruda realtà, purtroppo, supera qualsiasi immaginazione. Fonte per l'autore della saga di Petrademone - da novembre tra gli Oscar Bestsellers Mondadori - è la strage di Balvano avvenuta nella notte del 3 marzo 44, seicento morti e nessun colpevole per il disastro ferroviario più terrificante dell'epoca, ignorato quasi da subito e condannato all'oblio.
Castagna, perché ha scelto questa vicenda?
«È venuta lei da me. Avevo voglia di raccontare una storia con dentro un cuore palpitante.
La spinta maggiore è stata quella del diritto al ricordo.
«Una strage non è inconsueta in tempo di guerra, ma questi morti innocenti gridavano vendetta. Mi faceva rabbia questa memoria insabbiata perché faceva comodo alla politica, agli alleati mettere a tacere le loro colpe. Quel convoglio merci preso d'arrembaggio di stazione in stazione da una mass' i pezzient stipata come in carri bestiame, non poteva compiere un cammino reso ancor più difficoltoso dalla neve attraverso gallerie trappole. Ho lavorato molto e mi sono documentato su diari di guerra, articoli di giornale, saggi storici che evocavano le cronache dolorose dello Sbarco. Per Balvano, invece, mi ha aiutato Mario Restaino dell'Ansa di Potenza. Volevo in qualche modo dipanare il mistero del treno 8017. Qualcuno lo ha paragonato al Titanic, eppure la storia di questi poveri disgraziati che hanno perso la vita in un viaggio della speranza per procurarsi in po' di cibo si è dissolta nella polvere del tempo, non era altrettanto glamour».
Protagonisti tre adolescenti, lo ha fatto per avvicinare a fatti storici un pubblico giovane?
«Non ci sono fini didattici. Ho voluto far salire il lettore su quel lungo convoglio e fargli guardare in faccia i suoi passeggeri clandestini con gli occhi di tre ragazzini: Rocco il mariuolo, che nella bolgia cerca bottino; Brando il puro, costretto a farsi carico della famiglia; la dolce Nora, ossessionata dalla visione di presenze oscure che annunciano la morte. Credo che questi tredicenni che hanno vissuto la mancanza di cibo, gli aerei sulla testa, la paura dei rifugi possano essere di esempio ai ragazzi di oggi che si lamentano di tutto».
Un libro potente, necessario, dovrebbe essere adottato nelle scuole.
«Volevo far conoscere questa storia anche a me sconosciuta, perché il peso di tanti morti non sia preso alla leggera. È un libro importante per me, un pezzo della mia anima e mi dispiace che esca in un periodo così infame. Immaginavo già tanti incontri con i ragazzi nelle scuole... speriamo in un prossimo futuro». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino