Ci ha messo vent’anni esatti, Marco Philopat, a far uscire il seguito del suo Costretti a sanguinare, e stavolta, non più per la Shake edizioni, ma per Bompiani...
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Vegano, confuso e infelice, Philopat è «scappato di casa a sedici anni» e «cresciuto lontano da mio padre e dal suo cognome. Al solo pensiero di tirare fuori la carta d’identità mi prende un moto interiore di rifiuto, e non solo perché gli sbirri me l’hanno chiesta troppe volte». Gli anni Ottanta sono per lui una parentesi tra il delirio hardocore e l’avvento del movimento della Pantera e delle posse, che rimane fuori da questo libro: sarà forse in un terzo volume, quando la colonna sonora sarà rap, come avviene qui nelle ultime pagine, quando Public Enemy e i Beastie Boys si sostituiscono a Crass e Poison Girls, Raf Punk e Joy Division, Einsturzende Neubauten e Lydia Lunch, Sonic Youth e Psychic Tv.
Lo stile? Immediato, depresso quando l’entusiasmo scema, travolgente quando l’adrenalina picchia forte, come in un pogo dei tempi d’oro. A proposito, ma un vecchio punk può essere nostalgico? Leggi l'articolo completo su
Il Mattino