Anna Santoro è un’autrice multanime, che dallo spazio della letteratura (tra scrittura poetica, narrativa e teatrale, ricerca e insegnamento) a quello della...
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Ma mentre nel precedente romanzo corale La nave delle cicale operose (Robin editore) Santoro tracciava un corposo affresco generazionale, qui il punto di vista è più claustrofobico, ma di respiro comunque sociale, e politico: in mezzo ai due macro-temi sottesi allo svolgimento della trama del libro, affiorano infatti altri nodi particolarmente cogenti della contemporaneità (le migrazioni e lo sradicamento, le iniquità e diseguaglianze sociali, la marginalità, lo sfruttamento, gli abusi e la violenza a danno di donne e bambini, l’incuria verso i soggetti sociali più piccoli e/o vulnerabili, la solitudine e l’incomunicabilità). Nuclei tematici che l’autrice orchestra con una sorvegliata cognizione del dolore - soprattutto femminile, ma non solo - e con una cifra stilistica giocata su due registri narrativi: il racconto in prima persona dell’io narrante, una donna fino a un certo punto senza nome (e dunque senza identità) in quanto mutilata della memoria in seguito ad un oscuro trauma; e la narrazione in terza persona delle altre storie che lo sguardo della protagonista intercetta, sin dall’incipit con l’espediente letterario (e cinematografico) classico della “finestra sul cortile” di un caseggiato di destini casualmente incrociati.
Con l’andamento incalzante di un thriller psicologico e pagine di forte impatto emotivo - che, soprattutto quando affrontano le vicende di bambine e bambini, virano nel poetico, non a caso una delle anime dominanti della narratrice Santoro - l’autrice interpella così con forza e senza sconti il lettore, coinvolto e corresponsabilizzato ad aprire gli occhi sugli inevitabili nessi dalla storia narrata - che rinvia costantemente a una costellazione di storie - all’attualità di cronache di ordinaria follia quotidiana. Sullo sfondo, da ultimo ma non meno importante come un messaggio subliminale, il potere salvifico dei libri (delle parole), il limbo dell’oblio e la forza eversiva dell’immaginazione che, come il viaggio della memoria dentro di sé e attorno al mondo, può trasformare se stessi. E la realtà. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino