Ruggero Cappuccio: «Dal teatro al cinema la mia doppia sfida»

Lo scrittore e regista filma le sue opere più celebri

Ruggero Cappuccio: «Dal teatro al cinema la mia doppia sfida»
Ha appena finito di girare «Shakespea-Re di Napoli», tratto dalla sua omonima pièce, ancora rappresentata dopo 29 anni. Un altro suo film, «Il sorriso di...

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Ha appena finito di girare «Shakespea-Re di Napoli», tratto dalla sua omonima pièce, ancora rappresentata dopo 29 anni. Un altro suo film, «Il sorriso di San Giovanni», che ha diretto assieme a Nadia Baldi, partecipa al «Torino film festival» e sarà proiettato oggi, fuori concorso. Ruggero Cappuccio, appena visto nei panni di sè stesso in «Effetto notte» di Bellocchio, alterna la direzione del «Campania teatro festival» con le attività di scrittore e di regista. Entrambi i film fanno leva su storie visionarie, dove la poesia è il soffio vitale che li permea. Entrambi hanno origine da drammaturgie. Nascono, dunque, per il teatro. E la domanda emerge spontanea.

Cappuccio, perché trasporre i due titoli dalla scena al set?
«Il sorriso di San Giovanni fu vittima della paralisi tecnica determinata dal Covid. Il testo era destinato al Mercadante, ma mi resi conto, con il suo direttore Roberto Andò, che la clausura forzata non avrebbe permesso di portarlo in scena; però, sarebbe stato affascinante e utile farne un film, grazie alla visionarietà della pièce».

E per «Shakespea-Re di Napoli»?
«Il motivo è l'immaginazione visiva, di cui l'intera drammaturgia è intrisa. Calvino notò che Basile è un deforme Shakespeare partenopeo, per la comunanza dei linguaggi, un certo uso delle metafore, il ricorso a quegli aspetti della natura che rispecchiano le passioni umane, la convivenza tra alto e basso, tra picchi poetici, spirituali e inni alla vita più bassa. Non ci sono prove che il Bardo sia mai approdato a Napoli, ma con la fantasia si può immaginare che lo abbia fatto; e che abbia incontrato il giovane Desiderio, lo abbia amato, condotto con sé a Londra... e che sia lui il misterioso destinatario dei suoi 154 Sonetti. Insomma, mi attraeva il cortocircuito tra quei due mondi e quelle due lingue. E infatti, nel film si parlano l'inglese, l'italiano e un possibile napoletano del Seicento».

Le differenze tra scena e set?
«A teatro lo spettacolo gioca su due attori, che rimandano ad altri personaggi e ad altre visioni, il vicerè, Shakespeare, il popolo, il giovane Desiderio, gli attori del londinese Globe. Da tempo volevo cadesse il velo sul non visto sul palcoscenico. Volevo creare una struttura capace di mettere in luce quel mondo sommerso e dare carne e voce a creature che in teatro erano fantasmi, in una sceneggiatura sarebbero potuti diventare personaggi. Il film, alla fine, è una immensa soggettiva di Desiderio, e la storia è sempre in bilico tra realtà e finzione. Perciò, non avevo bisogno di un'Inghilterra reale, ma di quella filtrata dall'immaginazione di un napoletano. Ho girato su spiagge, in grotte, palazzi reali e nell'Albergo dei poveri».

I temi delle due opere?
«L'eros, il genio, la bellezza, e la morte, per Shakespea-Re di Napoli, interpretato da Alessandro Preziosi, Peppe Servillo, Elio De Capitani, Giovanni Esposito, il debuttante Pasquale Zappariello e, nel ruolo del Bardo, Jacopo Rampini, che vive in America e nel film comunica in inglese con Desiderio. Tanto che i due, al principio, non si capiscono. Quanto al Sorriso di San Giovanni, con Claudio Di Palma, ancora Giovannino Esposito, Alfonso Postiglione e Marina Sorrenti, racconta l'aggressione della presunta modernità al mondo poetico».

La trama?
«Nel 43, in piena guerra, Giacinto Valguarnera è il custode della tradizione di un'antica famiglia di ex latifondisti decaduti; è poeta e appassionato di poesia, vive con le sue cinque sorelle in un piccolissimo paese del Cilento, ormai spopolato. Le donne vorrebbero andar via. Egli resiste strenuamente alle tentazioni di lasciare la loro casa secolare. Alla sua porta, in una notte di giugno, bussano due persone, un presunto grande poeta e un presunto grande pittore, tanto singolari quanto inquietanti. L'incontro sconvolgerà la vita di tutti».

Può anticipare qualche novità della prossima edizione del «Campania teatro festival»?
«Sarà ancora una rassegna multidisciplinare, ma viviamo in tempi duri per le arti. Confermare i risultati raggiunti, assicurarsi la continuità, è già una conquista».

«Quartieri di vita», la sua sessione dedicata al teatro civile e sociale, coinvolge alla fine, nonostante l'impegno gravoso, soltanto un centinaio di giovani o poco più.


«La quantità danneggia la qualità; e, poi, quei cento chiamano tante altre persone, gruppi, compagnie, artisti, creano un circuito virtuoso. Seminano cultura». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino