NEW YORK - Gli inserzionisti online vogliono sapere se i soldi che spendono per pubblicizzare i loro prodotti si traducono in veri acquisti da parte del pubblico o rimangono...
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Ecco come funziona il circuito creato dai due giganti: immaginiamo che il signor Smith sia alpc, su Google, e veda la pubblicità di un certo prodotto, diciamo un paio di scarpe. Ci clicca sopra, ma decide di non comprarle perché preferisce prima provarle. Così va in un grande magazzino, le prova e le compra lì. Se paga con una Mastercard, le informazioni arriveranno all'inserzionista, che così saprà che la sua pubblicità online era stata aperta dall'aquirente X, che poi è andato e ha effettuato un acquisto in un negozio brick and mortar (mattone e cemento, è il modo con cui si indicano i negozi della economia reale in contrasto a quelli online). Google ha risposto all'articolo di Bloomberg insistendo che i dati personali dei titolari delle carte di credito e debito Mastercard vengono resi anonimi, e che agli inserzionisti sono comunicati solo i movimenti, in modo da confermare l'efficacia o meno della pubblicità on line: «Prima di lanciare questo servizio in versione beta l'anno scorso abbiamo creato una tecnologia di crittazione double blind che impedisce sia a Google stesso che ai nostri partner di vedere informazioni personali». Google insiste: «Non abbiamo accesso ad alcuna informazione personale delle carte di credito o di debito, né li condividiamo con i nostri partner». Dal canto loro, alla Mastercard negano che i dati raccolti possano contribuire a identificare i titolari. Google ha pagato milioni di dollari alla Mastercard, per creare questo sistema di informazione dati. Ma ha anche discusso della possibilità di dividersi i guadagni ricavati fornendo informazioni agli inserzionisti. Quale sarà la reazione dei clienti Usa è difficile da prevedere. Gli americani sono molto più abituati degli europei a condividere i propri dati: moltissimi accettano di dar la propria e-mail alle casse. Tuttavia il recente scandalo di Facebook, e della cessione di dati privati a scopi politici ha creato uno stato d'animo diverso. C'è meno tolleranza verso i giganti di internet e i loro giochetti. Fb si era fatta abbindolare dal creatore di una app, che a sua volta aveva cannibalizzato milioni e milioni di dati Fb e li aveva passati alla società di consulenza politica Cambridge Analytica. Siamo cioè in un'epoca in cui le società internet sono loro stesse colpevoli di fughe di informazioni. In una prima fase, erano state vittime involontarie, come quando nel 2013 Yahoo dovette ammettere che pirati informatici avevano rubato i dati di 1 miliardo di accounts. Ma quello era stato un atto di pirateria. Oggi vediamo Fb, Google, Twitter diventare mercanti che usano i propri clienti come pedine di scambio. E solo di quanto in quando, grazie a qualche gola profonda, si scoprono i giochi fatti sulla nostra pelle. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino