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Un salvagente ci sarà. Medici, maestre d’asilo, dipendenti comunali e ufficiali giudiziari, potranno in qualche modo evitare il taglio della futura pensione previsto dalla manovra di bilancio. Sul tavolo ci sono ancora diverse soluzioni, ma quella più probabile è la differenziazione tra chi lascia il lavoro in anticipo, grazie agli anni di contributi, e chi invece va in pensione di vecchiaia, ossia una volta maturati i 67 anni di età. Per questi ultimi la penalizzazione dovuta alla revisione dei coefficienti di calcolo della quota retributiva della pensione non scatterà.
Le uscite anticipate
Per chi lascia il lavoro in anticipo, perché ha versato contributi per 42 anni e 10 mesi (nel caso degli uomini) o 41 anni e 10 mesi (nel caso delle donne), saranno applicati i nuovi coefficienti più penalizzanti previsti dalla manovra di Bilancio. Ieri questa ipotesi, insieme ad altre, è stata esaminata in un vertice a tre tra il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, quello del Lavoro Marina Calderone e il ministro della Salute, Orazio Schillaci. Fonti del Tesoro hanno definito l’incontro ancora «interlocutorio».
I nodi coperture
Restano da risolvere i problemi di copertura e di equilibrio nel lungo termine del sistema previdenziale.
L'alternativa
L’alternativa è che il “salvagente” sia a tempo. Resti in vigore cioè, soltanto il prossimo anno e al massimo il 2025. Poi anche per chi lascerà con 67 anni di età, scatterebbero i nuovi conteggi. Che la strada possa essere questa lo lasciano intendere le stesse dichiarazioni del ministro Calderone. «Devono esserci», ha detto, «interventi complessivi perché la norma tocca una platea che non è solo limitata ai medici, ma riguarda tante gestioni del pubblico impiego come i dipendenti degli enti locali. - ricorda Calderone - Ci riferiamo a una norma antica che prevede delle rivalutazioni delle pensioni sulla base di una tabella di 58 anni fa, gestita in un contesto in cui l’Italia era diversa, erano diverse le aspettative di vita e anche gli equilibri tra gestioni pensionistiche, una riflessione in futuro certamente andrà fatta nell’interesse dei giovani che avranno pensioni totalmente contributive».
L’altro fronte
Sul fronte delle pensioni dei dipendenti pubblici intanto, rischia di aprirsi un altro fronte. Quota 103 rischia di essere di fatto preclusa alle donne che lavorano nel pubblico. Colpa dei requisiti stringenti della norma. Anche questa volta, a rilevare questo aspetto, è stato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Il ragionamento è semplice. Quota 103 permette di lasciare il lavoro con 41 anni di contributi e 62 di età e a patto di accettare il ricalcolo contributivo dell’assegno (molto penalizzante). Inoltre, per i soli dipendenti pubblici, la finestra mobile per il pensionamento è stata fatta salire a 9 mesi contro gli attuali 3 mesi. Tuttavia oggi le lavoratrici pubbliche, come del resto tutte le lavoratrici, possono lasciare il lavoro con 41 anni e 10 mesi di contributi. Nei fatti con Quota 103 potrebbero anticipare di soli 4 mesi la pensione. E sempre accettando un assegno più basso. Una scelta che di fatto sarebbe irrazionale.
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