«La tassa di soggiorno non rilancia il turismo», la protesta di hotel e B&B

«La tassa di soggiorno non rilancia il turismo», la protesta di hotel e B&B
È stata sin dall'inizio (e parliamo ormai di dieci anni fa) una delle imposte più controverse, decisa e applicata in ordine sparso dai Comuni turistici...

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È stata sin dall'inizio (e parliamo ormai di dieci anni fa) una delle imposte più controverse, decisa e applicata in ordine sparso dai Comuni turistici nonostante la forte opposizione degli albergatori. Ma oggi che per la tassa di soggiorno, come ormai viene comunemente chiamata, arrivano i primi ristori dello Stato per compensare il gettito ridotto a causa del Covid (si tratta di 250 dei 350 milioni stanziati dal ministero delle Finanze attraverso un apposito Fondo per il periodo febbraio 2020-marzo 2021) si apre un nuovo fronte di perplessità anche se, a ben vedere, c'è sempre stato. «Bisogna che il governo stabilisca, con una norma ad hoc, l'obbligatorietà della destinazione di queste risorse per servizi legati al turismo e più in generale all'accoglienza» dice Agostino Ingenito, napoletano, presidente dell'Abbac, un'Associazione che raggruppa affittacamere, B&B, case vacanze e locazioni, da tempo impegnata sul tema. «Il rischio è che alla fine i Comuni utilizzino questi soldi nel calderone generale delle loro spese, senza destinarli all'uso che per noi è decisamente più giusto e coerente con le finalità dell'imposta di soggiorno», aggiunge. È vero che non c'è alcun obbligo per i Comuni di spendere il ricavato della tassa in questo modo ma, osserva l'Abbac, a conti fatti a rimetterci sono i turisti, che pagano senza vedere migliorati i servizi dei Comuni che li ospitano; e gli operatori turistici che in quanto sostituti d'imposta non possono esimersi per legge dall'obbligo di esigere la gabella ad ogni prenotazione.

Un paradosso, sostiene Ingenito, anche perché non è vero che durante l'annus horribilis della pandemia l'imposta è stata sospesa in tutti i Comuni che l'applicavano. E non sarebbero stati pochi anche i casi di aumento dell'importo, nell'ottica presumibilmente di fare comunque cassa in un momento di assoluta emergenza per le finanze locali. «È vero che i Comuni non erano obbligati a sospendere l'imposta insiste Ingenito ma di fronte agli importi che sono annunciati come ristori, penso ad esempio ai 5 milioni previsti per il Comune di Napoli, occorrerebbero garanzie certe sul loro impiego per i servizi destinati al turismo. Abbiamo visto troppi casi di finanza creativa per non esprimere questa preoccupazione». 

I Comuni sotto accusa, allora? L'Abbac è in buona compagnia: nel 2019 era stata un'indagine di Federalberghi a rilanciare su scala nazionale il problema. Quell'anno si contavano 1.020 Comuni con l'imposta di soggiorno o la tassa di sbarco e pur costituendo appena il 13% dei 7.915 comuni italiani, ospitavano il 75% dei pernottamenti registrati ogni anno in Italia (il 17% nel Mezzogiorno). Due anni fa il gettito era stato calcolato in circa 600 milioni, in crescita rispetto ai 162 milioni del 2012 e ai 470 milioni del 2017. «Non si tratta oggi di fare le pulci ai bilanci comunali, conosciamo tutti le difficoltà degli enti locali ma questi ristori fanno emergere delle incongruenze che vanno affrontate - dice il presidente Ingenito -. Ecco perché chiediamo interventi urgenti e risolutivi. Da troppo tempo le risorse riscosse, soprattutto in periodi pre-pandemici, hanno avuto destinazioni tutt'altro che legate alle esigenze dell'accoglienza e dei servizi turistici. È ora che lo Stato affronti con i Comuni queste vicende che hanno determinato non poche problematiche dopo la reintroduzione della tassa di soggiorno, che alcuni anni fa era stata cancellata e poi ripristinata». Il presidente dell'Abbac lo ha scritto al ministro del Turismo, Garavaglia, e chiesto che la questione sia affrontata anche in sede parlamentare dalle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. «Fioccano milioni, dai 56 concessi a Roma Capitale, ai 24 milioni di euro erogati a Milano, ai 19 milioni di Firenze e ai 18 milioni di Venezia, e ai 5 milioni ed oltre concessi, come detto, a Napoli si legge nel documento -. Nell'elenco anche tante sorprese sui fondi concessi ad altre importanti località italiane. In tanti Comuni però - secondo la denuncia dell'Abbac - non hanno mai sospeso l'imposta anche in piena pandemia e c'è chi ne ha approfittato per aumentare tariffe e tasse di sbarco, mentre la destinazione delle risorse resta un tabù».

Meno discrezionalità, dunque, ma non solo. In un settore che fa fatica a recuperare i livelli del 2019 e che ha potuto risollevarsi finora solo nelle località balneari, ci sono anche altri vecchi nodi irrisolti che il post pandemia ha fatto inevitabilmente tornare a galla. «Oggi una locazione breve o un B&B sono equiparati ad un albergo senza ristorazione», dice Ingenito. E aggiunge: «Si fa fatica ad accettare che aumenti l'imposta di sbarco a Procida solo perché capitale della cultura o che continui la pratica degli accordi spesso segreti tra Comuni e piattaforme Airbnb per la riscossione on line e versamento forfettario dell'imposta di soggiorno». Ma l'elenco delle criticità è estesissimo: «L'abusivismo, la certificazione e veridicità degli annunci online sulle piattaforme di prenotazione per evitare ulteriori e gravi casi di truffe ai danni dei viaggiatori» ricorda Ingenito. Per fermare la deregulation «servono azioni precise per valorizzare e promuovere l'eccezionale rete di ospitalità diffusa italiana e tutelare gli operatori onesti. Vanno affrontate anche le ipocrisie della turistificazione, dell'utilizzo cioè degli immobili per destinazioni turistiche, e garantita la tutela e vivibilità dei centri storici con il fabbisogno abitativo». 

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Il Mattino