Ucraina, la crisi dell'industria made in Italy: niente argilla dal Donbass, si ferma anche la ceramica

Ucraina, la crisi dell'industria made in Italy: niente argilla dal Donbass, si ferma anche la ceramica
Piastrelle per pavimenti e rivestimenti, artigianato di qualità, semilavorati per prodotti da decorare che il mondo ci invidia: l'allarme non risparmia niente. Per il...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Piastrelle per pavimenti e rivestimenti, artigianato di qualità, semilavorati per prodotti da decorare che il mondo ci invidia: l'allarme non risparmia niente. Per il comparto della ceramica, uno dei fiori all'occhiello del Made in Italy, la crisi sembra già iniziata tra l'aumento dei costi dell'energia e la guerra in Ucraina. È da qui che nel solo 2019, soprattutto via mare, dai porti di Odessa e Mariupol per essere più chiari, sono stati importati 2,2 milioni di tonnellate di argilla ed oltre 200mila tonnellate di caolino. Sono le materie prime fondamentali per un settore capace di fatturare ben 6,3 miliardi di euro all'anno, con una quota di export pari al 7% del totale nazionale e un distretto come quello di Modena e Sassuolo che garantisce il 90% della produzione nazionale di ceramiche industriali con i suoi 27mila tra operai e addetti alle vendite (su una platea complessiva di 35mila). L'invasione russa ha bloccato i porti ucraini e stravolto budget e previsioni, progetti e prospettive delle aziende importatrici. Al punto che molte di esse hanno scoperto a loro spese di avere scorte di materie prime per meno di un paio di mesi: fermate produttive e cassa integrazione sono già una realtà in Emilia-Romagna. 

Forte e inevitabile l'allarme lanciato da Confindustria Ceramiche e fatto proprio dal sindaco di Sassuolo, Gian Franco Menani: «Trenta stabilimenti fermi, circa 4 mila lavoratori in cassa integrazione: una situazione più che mai drammatica a cui si aggiunge la difficoltà nell'approvvigionamento delle materie prime, che come noto arrivavano in buona parte delle zone attualmente teatro di guerra, con le scorte nei magazzini che rischiano di terminare dopo Pasqua». Il paradosso, spiega Menani, è che «gli ordini da tutto il mondo rischiano di non poter essere evasi a causa di rincari energetici fuori controllo, per buona parte figli della speculazione». Ma l'allarme arriva anche dal Vastese, in Abruzzo, e dalla Sicilia, regioni in cui le lavorazioni della ceramica su base industriale fanno numeri importanti.

È l'ennesima tempesta perfetta dei comparti produttivi italiani, manifatturieri e non: la guerra dopo il rincaro dell'energia, il mix peggiore per chi alla fine della pandemia aveva iniziato a intravedere un percorso di crescita. L'industria di settore si era infatti ripresa bene tanto che nel 2021 aveva fatto registrare un aumento del fatturato di circa il 12% rispetto al 2019, superando 6,2 miliardi di cui 5 miliardi dalle esportazioni. Il rialzo del costo del metano, ulteriormente esasperato con il conflitto bellico, e la scarsità di materie prime ha riportato tutti con i piedi per terra. E riempito una lista di aziende chiuse, per ora temporaneamente, che fa paura a chi conosce i livelli di qualità e di fatturati delle aziende stesse. 

Il guaio è che certe materie prime, come appunto l'argilla, sono insostituibili per i prodotti di qualità della ceramica made in Italy: senza, è impossibile produrre i semilavorati che hanno reso unico il comparto nel mondo. E che, a ricasco, assicurano anche agli ultimi gradini della filiera, un ritorno economico notevole. Se poi si considera che argilla e caolino erano estratti soprattutto nelle cave del Donbass, il territorio occupato dal 2014 dai separatisti filorussi e sul quale si sta concentrando da giorni la nuova offensiva di Mosca, si capisce che il problema non sarà risolvibile a breve e medio termine. La situazione per i lavoratori e per le imprese del comparto «è veramente critica», per usare le stesse parole dei vertici di Confindustria Ceramiche nel corso della recente audizione alla Camera. Si parla esplicitamente di «prospettive sconfortanti» perché «il conflitto ha fatto schizzare il costo dell'energia e tagliato la materia prima per eccellenza: l'argilla». Dice il presidente Giovanni Savorani: «Siamo fra l'incudine e il martello perché alle quotazioni impazzite del gas metano si aggiungono le forniture bloccate in Ucraina di argille che rappresentano il 30% della composizione delle nostre piastrelle e che alcuni associati stanno cercando disperatamente altrove». In Turchia, addirittura in Australia, a quanto pare. «Una fermata totale a fine mese dice Savorani - potrebbe avere ricadute pesantissime sulla produzione e sull'occupazione». Ovvero, la cassa integrazione per i lavoratori delle imprese che saranno costretti a ulteriori stop in un comparto che arriva a contare 40 mila addetti se si calcola l'indotto. «Lo scorso anno spiega Savorani abbiamo fatturato 6 miliardi e 300 milioni. Se ci fermiamo nel mese di aprile rischiamo di perdere quasi 500 milioni di euro, quasi tutti di export». Che è tantissimo se si considera che le imprese di Confindustria Ceramica esportano a livello mondiale circa 364 milioni di metri quadri di ceramica, di cui 3,2 milioni (lo 0,88%) tra Russia ed Ucraina. Per voltare pagina servirebbero percorsi di ricerca sulla sostenibilità ambientale dell'industria di settore: ma la strada è lunga e nessuno sa quando potrà essere percorsa. 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino