La ministra, l’assessora e il foco: il sessismo non si batte a parole

La ministra, l’assessora e il foco: il sessismo non si batte a parole
Gentile Direttore, sentiamo spesso dire: l’assessora, la Ministra. Non credo che la declinazione al femminile dei sostantivi maschili diano la misura del linguaggio...

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Gentile Direttore, sentiamo spesso dire: l’assessora, la Ministra. Non credo che la declinazione al femminile dei sostantivi maschili diano la misura del linguaggio inclusivo. Credo, invece, che il linguaggio inclusivo si debba tradurre in azioni sostanziali, che partono dalla valutazione del merito di una donna, sulla base delle sue capacità e competenze. Non è che per affermare il ruolo di una donna dobbiamo sorbirci la cacofonia a reti unificate di parole maschili declinate al femminile. Addirittura, i termini Assessora e Ministra, mi appaiono dei tentativi maldestri di vezzeggiare le donne che occupano quelle posizioni. E non è proprio così che si riconosce il valore di una donna, anzi, casomai si ottiene l’effetto contrario. Del resto, le Donne stesse che si sentono sminuite da un termine declinato al maschile, dovrebbero interrogarsi sul peso effettivo di quel termine e sulla reale incidenza che esso può avere nello svolgimento della propria professione. Alla fine dei conti, questa distinzione di generi mi appare una quisquilia.

Giovanna Galasso
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Cara Giovanna sono d’accordo con lei. Alcune declinazioni al femminile sono davvero cacofoniche al limite del ridicolo. Non solo assessora, ministra, sindaca o sindachessa. Ma si potrebbe far e a volte si è già fatto persin di peggio: falegnama, fabbra. giudica o giudichessa? Custoda o custodessa? Pastora, tintora. Questora o questrice? Medica o medichessa? Ingegnera. E che dire di giardiniera o finanziera con il rischio di essere confusi con antipasti e secondi piatti della cucina piemontese e lombarda. Per non parlare poi degli animali. Il tasso e la tassa? Il cinghiale e la cinghiala? L’ariete e l’arieta o arietessa? Ma anche a voler rovesciare il genere ne vengono fuori da oggi le comiche. La tigre e il tigro? La foca e il foco? La zebra e lo zebro? La volpe e il volpo? Insomma lasciamo stare la nostra lingua che resta una delle più belle del mondo senza forzati adeguamenti al politically correct. Il sessismo non si combatte a parole ma con i fatti. Anzi, come lei, credo che battersi per una «a» al posto di una «o» alla fine voglia dire accontentarsi. E in battaglia chi si accontenta perde.

Federico Monga

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Il Mattino