Il cielo nero, gonfio di pioggia, che grava sul rione Salicelle accompagna tra questi orridi palazzoni il day after del bagno di folla per Matteo Salvini, che qui il 4 marzo ha...
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IL BOTTA E RISPOSTA
Qualcuno dice che era stato tutto preparato, magari pagato.
«Tutti voi giornalisti chiedete le stesse cose. Mo’ basta! È stato un gesto d’istinto. Mai avevo visto un “presidente” da vicino. Invece di fare un applauso gli ho baciato le mani, per rispetto e riconoscenza».
Riconoscenza per cosa?
«Mi hanno detto che ci dà i soldi, il reddito di cittadinanza. Ho votato per Pina Castiello e pure per Di Maio, per questa cosa dei soldi».
Vi siete fidato delle loro promesse, quindi?
«Il padre della Castiello, che abita da queste parti, me lo disse: vi danno il reddito, vi danno da mangiare. Noi qua ne siamo tanti, di disgraziati. Siamo disoccupati, la nostra vita è uno schifo».
Ma lo sapete che Salvini, la Lega erano contro il Sud? Non vi importa?
«A me sembra una brava persona, è stato istintivo, gli ho preso la mano, gliel’ho baciata, gli ho detto presidè, ci servono i soldi, il lavoro».
All’improvviso, come la pioggia che non t’aspetti, si materializza il figlio, un tipetto tutto nervi. Si presenta con un «Jatevenne mo, subito» che non lascia spazio a una replica. Ripete il concetto con un’aggiunta: «Jiatevenne se no vi schiatto», gergale da Gomorra per indicare una immediata brutta fine. E amen, il re del web abdica grazie alla discendenza nervosa.
IL DEGRADO
Nel rione Salicelle la sera allunga la sua mano, mentre alcuni bambini giocano al calcio di rigore. La porta ha i confini dello spray nero con il quale il writter ha segnato sulla facciata fronte strada di un isolato un ACAB, triste acronimo anglosassone contro la polizia, a caratteri cubitali. Per un grumo di anziani intabarrati fermi a un angolo, per strada dopo essere stati fatti sgomberare (e multati di 300 euro) da un basso che avevano occupato per giocare la sera a tressette, siamo la cosa nuova di tutta la giornata. Chiediamo se sanno che Salvini ha annunciato lo sgombero di circa duecento famiglie abusive. La risposta è un coro: «Sarà un bel casino, anzi una guerra». Poi Raffaele Buono, uno di loro, una specie di Hugh Grant invecchiato, sbotta: «Peccato che non ci sono elezioni, perché lo sgombero non l’avrebbero nemmeno pensato. Qui ci dobbiamo arrangiare e risolvere da soli i problemi. Venite a vedere come salviamo le aiuole». Don Raffale, come lo chiamano gli altri, mostra la fu aiuola, diventata un orto urbano, con finocchi, broccoli baresi e altri ortaggi. A difesa, tante rose e una sgangherata rete che ha visto tempi migliori. Un suo compagno di tressette, Giuseppe Papaccio, vuole dire la sua. «Questa è la facciata dell’isolato dove abito con tanto di carte a posto dal 5 luiglio del 1988. L’ho ridipinta. Se aspettavo il Comune, qui tutto cadeva a pezzi». Queste case, d’altronde, sono ancora «transitorie» per i terremotati. «Gli sgomberi ci fanno un baffo e pure quello che li ha annunciati», insiste, confermando così che il Rione è pronto alla guerra.
D’altronde qui dentro c’è la camorra, e comanda. Ma non c’è la farmacia, nessun medico ha uno studio aperto, nemmeno una fermata per l’autobus, resistono due salumerie e una macelleria, una bottega di tabaccaio. Le tre piccole ville comunali sono abitate da ratti e randagi e sono chiuse, come è già chiuso un asilo nido appena ristrutturato. Forse davvero qui gli sgomberi sono solo l’ultima preoccupazione. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino