Bar e ristoranti chiusi dopo le 18, il flop della protesta: «Mi hanno lasciato solo, così ho gettato la spugna»

Bar e ristoranti chiusi dopo le 18, il flop della protesta: «Mi hanno lasciato solo, così ho gettato la spugna»
«Se fossi stato un imprenditore del Nord, di Perugia, Bologna o Milano - sospira Attilio De Gais - probabilmente a quest'ora starei servendo un cliente al tavolo. Qui...

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«Se fossi stato un imprenditore del Nord, di Perugia, Bologna o Milano - sospira Attilio De Gais - probabilmente a quest'ora starei servendo un cliente al tavolo. Qui invece le cose sono andate molto diversamente». Sono le 20.30 di venerdì 15 gennaio, e De Gais ha appena chiuso una delle decine di telefonate fiume di trattativa e consultazione della giornata. Tutte con un unico argomento: «Che si fa? Si resta aperti al pubblico o no? Ci conviene? Cosa rischiamo?». De Gais, titolare di Orange e socio di Ciro Cascella 3.0 a Chiaia, oltre che di bar e pizzerie a San Pasquale, piazza Vittoria, lungomare e centro storico, aveva sponsorizzato pubblicamente la cena ribelle nei giorni scorsi, prima del ripensamento definitivo: ieri sera era aperto, ma solo per l'asporto, come consentito dal regolamento vigente. «Eravamo in svariate decine di ristoratori decisi ad aprire fino a 72 ore fa. Ma il fronte si è disunito. E anch'io ho capito che violare le regole da solo mi avrebbe provocato soltanto problemi gravi e difficili da gestire». 

Lei si era esposto, nei giorni scorsi, dichiarando che avrebbe aderito a IoApro. Poi cosa è successo?
«Sono successe tante cose, in pochissime ore».

Per esempio?
«Le notizie arrivate dalla Prefettura, innanzitutto. Una multa di 400 euro non mi avrebbe spaventato più di tanto. Non sono state le sanzioni il motivo del mio ripensamento. Ma il ritiro della licenza sì. Questo nessuno potrebbe permetterselo, specialmente in un momento di crisi di questo genere».

Questo è bastato a far tirare indietro tutti i pubblici esercenti iscritti a IoApro?
«In verità, anche se nessuno dei miei contatti ha capito chi fosse realmente l'amministratore del gruppo Telegram Io Apro Napoli, non credo che l'iniziativa sia stata un fallimento, e per tante ragioni».

Quali?
«Lo spettro della rivolta ha acceso i riflettori sul problema della nostra categoria a livello nazionale. E lo stesso è successo in occasione della marcia su Roma in autostrada, cui ho preso parte 4 giorni fa. Ieri, per la Campania, è arrivato finalmente un importantissimo risultato: l'apertura degli esercizi nel weekend al pubblico, anche se fino alle 18. Del resto, come avete scritto anche voi nei giorni scorsi, la somministrazione ai clienti sabato e domenica era uno dei due punti base delle nostre richieste. L'altro, alternativo, era quello di lavorare anche di sera. Se una delle nostre soluzioni per la ripresa è stata accettata, il motivo della rivolta, almeno qui da noi, si indebolisce. Tanti hanno preferito puntare sul lavoro di oggi e domani anziché sulla protesta di ieri. Andava fatta una scelta, e la situazione è stata determinata anche dalle notizie che arrivavano da Roma nel pomeriggio».

Insomma, se potete lavorare nei weekend, vi sta bene la chiusura a cena.
«Sì, almeno in queste condizioni possiamo recuperare qualcosa degli incassi. Le perdite si ridurranno parecchio. Il problema principale sta nel fatto che nei giorni della settimana, con lo smart working, le strade sono svuotate e i crolli dei nostri fatturati superano ampiamente il 70%. Servendo ai tavoli a pranzo il sabato e la domenica, invece, potremo tornare a respirare un minimo di ossigeno».

La rabbia del settore si è spenta, insomma?


«Diciamo che per adesso è in stand-by. Non escludo che qualcuno abbia aperto in città ieri sera, ma nelle zone in cui i controlli non sono arrivati. E senza mettere certo i manifesti. Qui, al contrario del Nord, nessun politico si è mostrato sensibile a IoApro. E poi, diverse volte in Campania sono arrivate restrizioni particolari, più pesanti che in altre Regioni d'Italia. Parlo per esempio del divieto di delivery durante il primo lockdown, o degli sprechi di cibo dovuti alla chiusura imposta dalla regione a ridosso di Natale, tra 20 e 23 dicembre, con l'ordinanza 98. È stato allora che sono scattate le nostre rivolte. Ieri, invece, è successo tutto il contrario: i gestori di alcune regioni del Nord, dichiarate arancioni, questo weekend non lavoreranno. Noi invece sì, e potremo farlo rispettando le regole e le decisioni delle istituzioni» Leggi l'articolo completo su
Il Mattino