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Prima lo scontro e il rischio di una faida, poi l'intervento dei nuovi reggenti dei clan e il «rinnovo» dell'alleanza di camorra nella gestione delle estorsioni. Da Castellammare a Scafati, passando per Pompei e Santa Maria la Carità, i Cesarano e i Matrone-Buonocore si erano spartiti il territorio, pattuendo anche le percentuali sulle estorsioni «fuori zona». È finito in carcere anche Vincenzo Cesarano, 60 anni, alias «'o mussone», da quattro anni reggente del clan Cesarano al rione Ponte Persica, in virtù della parentela con il cugino capoclan dei trenta ergastoli Ferdinando Cesarano. Vincenzo Cesarano è finito in carcere nell'ambito di un'operazione coordinata dalla Dda di Salerno, a conclusione di indagini dei carabinieri. Tredici persone sono finite in carcere, otto ai domiciliari, altre undici sono indagate a piede libero accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione di porto abusivo di armi, violenza privata e illecita concorrenza, tutti reati aggravati dal metodo mafioso.
I fatti ricostruiti nel corso delle indagini riguardano episodi che vanno dal 2014 al 2019, con il monopolio del racket sulle slot machine gestito dai due clan, nonostante i tanti arresti eccellenti.
Nel corso delle indagini è stata ricostruita la fase di tensione tra i Cesarano e i Buonocore. Su mandato di Luigi Di Martino, erano stati eseguiti una stesa contro l'abitazione di Buonocore ed era stata piazzata una bomba al Roxy Bar di Scafati, sempre gestita dal nuovo boss. Con l'arresto di Luigi «'o profeta» e la scarcerazione di Vincenzo Cesarano, i due clan avevano fatto pace. Però ai Cesarano spettava una percentuale sulle estorsioni a Scafati.
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Il Mattino