Università, il Censis boccia la Campania: «Servizi inadeguati»

Università, il Censis boccia la Campania: «Servizi inadeguati»
Università, la Campania è poco “felix”. È questa l’impietosa fotografia scattata dal Censis per agevolare l’orientamento degli...

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Università, la Campania è poco “felix”. È questa l’impietosa fotografia scattata dal Censis per agevolare l’orientamento degli studenti nella scelta del miglior ateneo a cui iscriversi. Da che punto si guardi il comparto universitario, statale e non, grande, medio e piccolo, nulla cambia, gli ultimi posti sono tutti campani. Il Censis cerca, quindi, di far presa soprattutto sulla curiosità degli studenti che cercano anzitempo di conoscere la qualità dei servizi che li accoglieranno nel mondo universitario. Si tratta di un’articolata analisi del sistema universitario italiano attraverso la valutazione degli atenei, divisi in categorie omogenee per dimensione, relativamente alle strutture disponibili, ai servizi erogati, alle borse di studio, al livello di internazionalizzazione e alla capacità di comunicazione 2.0. 

 
Cinque parametri di base a cui si aggiungono il ranking dei raggruppamenti di classi di laurea triennali, dei corsi a ciclo unico e delle lauree magistrali biennali. Complessivamente si tratta di 63 classifiche, che per il Censis possono aiutare i giovani a individuare con consapevolezza il percorso di formazione migliore. Se fosse per il Censis, quindi, nessuno dovrebbe scegliere le università della Campania zoppicanti in internazionalizzazione, comunicazione, borse, servizi e strutture. Tutta la macchina che accoglie e gestisce gli studenti durante il loro percorso accademico risulterebbe poco attraente per le matricole. Non un cenno, però, alla qualità dell’offerta formativa e di ricerca che dovrebbero rappresentare il cuore pulsante delle università. La Federico II, infatti, inserita tra gli atenei “mega”, ovvero quelli con più di 40 mila iscritti, è ultima con un decimo posto preceduto da Catania e Milano. 

Strutture, servizi e borse penalizzano infatti l’ateneo laico più antico d’Europa. Stessa sorte per la Vanvitelli, fanalino di coda tra le “grandi” statali, premiata per qualità delle strutture e internazionalizzazione, ma fortemente penalizzata da borse e servizi. Appena due gradini più sopra c’è Salerno che paga per le strutture deficitarie a fronte di un buon sistema dei servizi. Tra le “medie” un cambio in fondo alla classifica tutto campano, infatti la Parthenope migliora quel tanto che basta per superare l’Orientale che brilla solo per internazionalizzazione. Non cambia nulla sulla provincia beneventana, dove l’altissimo livello delle strutture del Sannio non riesce a sopperire allo scarso livello di borse e servizi. Neanche il Suor Orsola Benincasa può sorridere, ultimo tra le università non statali, segnale che neanche quando c’è l’intervento privato le cose vanno meglio.

«Si tratta di parametri rispettabili, ma che non tengono in debito conto il livello della didattica e della ricerca delle università – precisa Paolisso, rettore della Vanvitelli - Il nostro lavoro è fare soprattutto formazione, quindi legare il concetto di università migliori alla classifica Censis non è giusto. Se parliamo di servizi migliori, allora sicuramente c’è da lavorare, ma alcuni di questi parametri non dipendono dalle gestioni delle università». 


Stessa contestazione lanciata da Alberto Carotenuto, rettore della Parthenope: «Il lavoro delle università non può essere racchiuso in cinque indicatori, a fronte, ad esempio, di più di trenta utilizzati dall’Anvur per le sue valutazioni di accreditamento degli atenei. Continuo a considerare riduttive queste analisi, nonostante quest’anno ci premino». Elda Morlicchio, rettrice dell’Orientale, chiede tempo per ottenere risultati apprezzabili: «Malgrado l’impegno per risultare più competitivi in base ai criteri di queste classifiche, criteri spesso variabili a seconda della tipologia di indagine, ancora non siamo riusciti a migliorare le nostre posizioni. Questo non mi stupisce: è necessario del tempo perché si avvertano ricadute significative. Segnalo il riconoscimento all’Orientale di una grande capacità di internazionalizzazione, che è del resto la nostra vocazione più autentica». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino