Sanità, con Lady Asl costi gonfiati: a Napoli quattro volte quelli del Nord

Sanità, con Lady Asl costi gonfiati: a Napoli quattro volte quelli del Nord
Quando dici il confronto tra nord e sud, tra i piemontesi e i campani. Un raffronto impietoso, secondo la ricostruzione investigativa, almeno a leggere le carte depositate nel...

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Quando dici il confronto tra nord e sud, tra i piemontesi e i campani. Un raffronto impietoso, secondo la ricostruzione investigativa, almeno a leggere le carte depositate nel corso dell’inchiesta a carico di Loredana Di Vico, la dirigente della Asl Napoli uno finita agli arresti domiciliari assieme all’ex compagno (e imprenditore privato) Vincenzo Dell’Accio. Parlano i numeri, secondo gli inquirenti, a partire da un dato di fatto: gli stessi apparecchi comprati dall’Asl napoletana per rifornire un ospedale casertano sono costati il 300 per cento in più rispetto alla stessa spesa fatta per rifornire un ospedale piemontese. ​Inchiesta per turbativa d’asta, lo spulcio delle carte svela il retroscena di contratti e appalti che avrebbero pesantemente gravato sulle casse della Campania (e sui disservizi in materia sanitaria).  

Ma andiamo con ordine, a seguire il ragionamento dei militari del nucleo di polizia tributaria agli ordini del colonnello Domenico Napolitano. Si tratta di un esempio - chiariscono i militari nella loro informativa - che serve a mettere a fuoco la strana triangolazione finita sotto inchiesta: quella tra la dirigente Loredana Di Vico, del gruppo di imprese del suo amante Vincenzo Dell’Accio, e le case madri di prodotti paramedicali (ovviamente estranee a questa inchiesta napoletana). Il caso Cuneo, dunque. Scrivono i militari: «Nel corso del mese di marzo dell’anno 2012, l’azienda ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo ha acquistato dalla Olympus Italia srl una colonna endoscopica composta di otto articoli, al prezzo complessivo di 37.200 al netto di Iva». Dunque? Qual è la differenza con il caso Napoli? Aggiungono gli inquirenti: «Ebbene, l’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta ha acquistato solo cinque degli otto articoli acquistati dall’ente pubblico piemontese, venduti dalla Vicamed srl (che è una delle aziende ricondotte a Vincenzo Dell’Accio), pagandoli 110.670,00 oltre Iva». Parliamo dell’acquisto degli stessi prodotti, forniti dalla stessa casa madre (la Olympus), nello stesso periodo di tempo: «Il prezzo di solo cinque componenti della Olympus sostenuto dall’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta supera di gran lunga di circa il 300 per cento il prezzo dell’intera colonna endoscopica acquistata dall’ospedale di Cuneo, direttamente preso la società produttrice». 

Stranezze napoletane, oggi svelate dall’inchiesta coordinata dal pm Valter Brunetti, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli e dello stesso procuratore Gianni Melillo. Ma torniamo alla storia dei costi, degli appalti a trattativa diretta dei prezzi ritenuti gonfiati, «maggiorati». Sotto i riflettori finisce l’acquisto di quattro colonne endoscopiche per 690mila euro, grazie alla mediazione della solita Vicamed, senza però che all’interno degli uffici della pubblica amministrazione nostrana scattassero le regole imposte ai dirigenti sanitari, a proposito della valutazione della congruità dei costi. Laconica è la conclusione degli inquirenti: «In sintesi, l’azienda ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, qualora avesse acquistato direttamente dalla casa madre le quattro colonne endoscopiche, avrebbe sostenuto una spesa complessiva pari a euro 281.775, conseguendo quindi un risparmio pari a 408mila euro». Un sistema che si sarebbe riprodotto anche in altri spaccati amministrativi, sempre e comunque all’ombra degli uffici della sanità campana. 

Difesi dai penalisti Guido e Alfonso Furgiuele, Loredana Di Vico e Vincenzo Dell’Accio respingono l’accusa di aver messo in piedi un sistema criminale sulla pelle dei contribuenti, si dicono pronti a dimostrare la correttezza della propria condotta, alla luce di un principio in particolare: erano i medici a bollare come «infungibili, unici ed esclusivi» le apparecchiature acquistate di volta in volta, nel corso di procedure che venivano semplicemente ratificate dagli uffici amministrativi. Versioni a confronto mentre nell’inchiesta spunta anche il caso dei prestanome e delle fatture gonfiate. 


Spicca il caso di Vincenzo De Vincenzo, liquidatore e rappresentante legale della Vicamed srl, che dal settembre 1998 al dicembre del 2011 è stato titolare di una partita Iva relativa all’attività dei «servizi dei saloni di barbiere e parrucchiere»: insomma, l’uomo giusto al posto giusto, un ex barbiere che macinava appalti da centinaia di migliaia di euro a tu per tu con la pubblica amministrazione napoletana.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino