«Io salvato dai medici del Cotugno dico agli indecisi: fidatevi del siero»

«Io salvato dai medici del Cotugno dico agli indecisi: fidatevi del siero»
Andrea La Rocca ha 37 anni e ha vissuto sulla sua pelle il terrore del Covid che lo ha portato al ricovero d'urgenza con una degenza di più di un mese. Ora sta bene ma...

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Andrea La Rocca ha 37 anni e ha vissuto sulla sua pelle il terrore del Covid che lo ha portato al ricovero d'urgenza con una degenza di più di un mese. Ora sta bene ma i segni, fisici e psicologici, li sente ancora addosso.


Quando è iniziato il suo calvario con il Covid?
«Il 25 aprile: la mattina mi sono svegliato con febbre».


E ha creduto fosse Covid?
«In realtà noi (io, mia moglie e nostro figlio di 4 anni) eravamo in quarantena dal 16 aprile, perché mio figlio era risultato positivo ma aspettavamo il tampone: l'Asl non era venuta nonostante fossimo in piattaforma. E così abbiamo fatto i tamponi privatamente pagando circa 100 euro a tampone. E sono risultato positivo».


E cosa ha fatto?
«Ho chiamato il medico di base: mi ha dato zitromax e Deltacortene. Dopo 3 giorni ero sfebbrato».


E pensava fosse passato.
«Sì, ma mi sbagliavo. La notte del 1 maggio avevo più di 39 di febbre. Mia moglie chiamò il 118 ma mi dissero che era solo febbre, di stare a casa e prendere Tachipirina. La mattina seguente la febbre era ancora alta e così abbiamo chiamato uno pneumologo che è venuto per una visita, privata».

E la diagnosi?
«Polmonite; la cura era di antibiotici e cortisone. Ma la febbre aumentava. Dopo 4 giorni, nuova visita e il medico stavolta mi disse che dovevo andare in ospedale urgentemente. Abbiamo chiamato un'ambulanza privata per andare direttamente al Cotugno. Mi hanno diagnosticato una polmonite interstiziale bilaterale ma il rischio era di sovrapposizione batterica».


Quanto tempo è rimasto in ospedale?
«Trentadue giorni, più di un mese. Mi rassicuravano che fosse solo Covid ma ovviamente non escludevano nulla e facevano tante analisi. Poi, dopo 4 giorni di ricovero, non avevo più la febbre ma ancora difficoltà a respirare. È stato solo verso il 20 maggio che ho iniziato a respirare gradualmente da solo. Da lì poi il calvario nel calvario, quello dei tamponi: il primo tampone l'ho fatto il 5 maggio, positivo. Poi il 14: positivo; il 19 era invece negativo ma il giorno successivo, di nuovo positivo. Il 24 maggio positivo. Il 30 maggio positivo. E poi il 4 e il 6 giugno finalmente negativi! Durante la malattia, ho temuto il peggio. Pensavo a me, ma soprattutto alla mia famiglia, a mia moglie Annalisa e a nostro figlio. Ero terrorizzato».


Aveva contatti con l'esterno?
«Non riuscivo a parlare: più che altro ci scrivevamo. Non avere nessun contatto fisico è stata la cosa peggiore. Ma al Cotugno, in barba alla tanta malasanità che ci circonda, il personale medico è stato eccezionale: mi sono stati vicini. E questo mi ha aiutato».


Lei si sente guarito?
«No, assolutamente. Mi sento affaticato, e non mi sento sicuro: temo di poter avere di nuovo il virus e di stare male. Poi, devo comunque fare altre indagini mediche. Mi sento mentalmente molto provato. Ero felice di uscire, per rivedere i miei cari, ma lì in ospedale mi sentivo tranquillo.


Farà il vaccino?
«Di corsa. Anzi, secondo me assieme ai 70enni andavano vaccinati da subito anche i 30enni. Non c'è una vera conoscenza del virus, neppure i medici sanno bene bene cosa hanno di fronte. Ma possiamo vaccinarci. E ai no-vax mostrerei la mia cartella clinica».


Come vive ora?
«Uso tutte le precauzioni, non vado in luoghi affollati.


Come guarda oggi al Covid?


«Come un qualcosa di reale e pericoloso. La sensazione vivendolo è anche peggio, di avvilimento e impotenza».

 

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Il Mattino