È stato salvato dall’immunità europarlamentare il sindaco di Napoli Luigi De Magistris trascinato in un’aula di tribunale con l’accusa di...
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Il procedimento per diffamazione a carico dell’ex pm per ben due volte fece la spola tra l’ufficio gup di Salerno e la Corte di Cassazione che, per due volte, recependo la tesi del legale delle parti offese, l’avvocato Giovanni Sofia, annullò la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Gup Donatella Mancini e dal Gup Sergio De Luca che, entrambi, applicarono il principio dell’immunità parlamentare. Il colpo di scena si registrò nel giugno dello scorso anno quando il Gup Elisabetta Boccassini firmò il rinvio a giudizio decretando così l’avvio del processo conclusosi ieri con una sentenza di non luogo a procedere per immunità parlamentare.
A “salvare” De Magistris è stato quindi proprio l’incarico di parlamentare europeo rivestito nel 2010 quando, dopo la motivazione della sentenza Why not sulla gestione dei fondi comunitari in Calabria, firmata dalla dottoressa Mellace, l’ex Pm effettuò quelle dichiarazioni contro il giudice, che gli sono costate il processo.
Con 34 assoluzioni e solo 8 condanne, era stata infatti proprio la dottoressa Mellace, a marzo del 2013, a chiudere il procedimento denominato Why not, ritenendo infondata buona parte dell’impostazione accusatoria. Da lì l’ira dell’ex pm, sfogata in tre articoli pubblicati sul suo blog, e attraverso alcune dichiarazioni rese nel corso di una trasmissione televisiva. In particolare De Magistris affermò che «si poteva comprendere come parte della giurisdizione a Catanzaro fosse addomesticata dalla borghesia mafiosa» riferendo la circostanza che la dottoressa Mellace, giudice dell’udienza preliminare dell’inchiesta Wy not, era la moglie dell’imprenditore Mottola D’Amato, coinvolto in un’indagine diretta proprio da De Magistris che per Mottola aveva formulato richiesta di misura cautelare. De Magistris, però, omise di riferire che, in relazione a quelle imputazioni formulate a carico di Mottola, era intervenuta sentenza di assoluzione. Il giudice Mallace e il marito ritennero quindi parziali e infondate quelle dichiarazioni relative al presunto coinvolgimento di Mottola d’Amato, finito nell’inchiesta diretta De Magistris per un suo biglietto da visita rinvenuto tra le carte di uno dei principali indagati e risalente, in realtà, all’epoca in cui svolgeva la professione di avvocato. Da qui la denuncia dei due coniugi affidatisi all’avvocato Sofia che, lo scorso anno, riuscì a fare approdare la vicenda in un’aula di tribunale. Ieri la sentenza che fa calare il sipario sulla vicenda.
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Il Mattino