Il teatro romano di Ercolano riapre: sotto terra nella città perduta

Il teatro romano di Ercolano riapre: sotto terra nella città perduta
Duecento scalini. Forse qualcuno in più. Ma poi ti ritrovi 25 e passa metri sottoterra e nel cuore della storia. Stupito, nonostante le avverse condizioni di umidità...

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Duecento scalini. Forse qualcuno in più. Ma poi ti ritrovi 25 e passa metri sottoterra e nel cuore della storia. Stupito, nonostante le avverse condizioni di umidità e temperatura, dalla bellezza dei capitelli, dalla buona conservazione dei pezzi d'intonaco color rosso vivo o giallo ocra, da quel che resta delle colonne e dei marmi che duemila anni fa impreziosivano il teatro di Ercolano. Da oggi riapre alle visite, dunque, e dopo due anni di stop dovuto al Covid 19, il primo monumento della storia archeologica vesuviana post 79 dC a essere scoperto, nel 1710, per opera di un contadino, Ambrogio Nocerino, conosciuto in zona con il soprannome di «Enzechetta». L'uomo, mentre scavava un pozzo da cui attingere acqua per l'irrigazione del suo podere, rinvenne e vendette alcuni marmi. La notizia arrivò alle orecchie del principe d'Elboeuf, nobiluomo francese e comandante delle armate austriache a Napoli, che si stava facendo costruire una villa in quell'area, che, intrigato dalla scoperta intraprese una campagna di scavi puntando alla ricerca di materiali antichi e preziosi. Le indagini, durate circa vent'anni, portarono al ritrovamento e alla messa in luce dell'intero fronte della scena del teatro. Ma anche alla spoliazione del ricco rivestimento marmoreo e di tutte le statue che arricchivano la scena, alcune delle quali ritrovate ancora in piedi nelle loro nicchie. La costruzione del teatro, risalente all'epoca di Augusto, si deve a Annio Mammiano Rufo che si fece carico dei costi di realizzazione, incaricando Numisio quale architetto.

Ma adesso indossiamo caschetti, cuffia per capelli, mantelline e torce da utilizzare nel percorso. Naturalmente calzando scarpe da trekking, o comunque chiuse, basse, resistenti e impermeabili, considerata la pavimentazione bagnata e scivolosa in alcuni punti. A proposito: visto l'ambiente umido e chiuso, il percorso è sconsigliato a chi soffre di claustrofobia e ha problemi di deambulazione. Ogni sabato, sino a dicembre, saranno previsti sei turni, dalle 9 alle 16, per gruppi formati da non più di 10 persone per volta. Il percorso nel ventre della storia dura circa un'ora, risalita compresa.

Scendiamo, condotti da Francesco Sirano, che del parco archeologico ercolanese è il direttore, «entrando da corso Resina e attraverso la scala in uso nel 700. Ecco la summa cavea, ovvero quella parte del teatro in cui trovavano posto le donne e la plebe; l'ima cavea, dove trovavano posto i rappresentanti delle classi sociali più alte; la media cavea, riservata ai cittadini dei ceti agiati». Tocca poi alla visita del fronte scena dove si recitava, sino all'arrivo al pozzo di «Enzechetta»: alzando la testa si può vedere il percorso della statua del benefattore di Ercolano, Marco Nonio Balbo, allorché venne tirata su. La galleria è alta circa 6 metri e lunga quasi 25 metri. Alle sue estremità, in corrispondenza dei palchi d'onore, due epigrafi dedicate a Marco Nonio Balbo e Appio Claudio Pulchro, amico di Cicerone, che fu console di Roma nel 38 aC. Belli gli affreschi, interessanti i graffiti, davvero tanti, che i visitatori, italiani o meno, segnavano sugli intonaci, cose tipo «Herculaneum domus mea», «Ercolano è casa mia», firmato da un tale Pasquale Fer nella seconda metà del Settecento. I vandali non nascono oggi: corsi e ricorsi, pessimi, della storia. 

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Il Mattino