Un vuoto di quattro ore. Un viaggio misterioso. E una vana, disperata ricerca trasformatasi in qualcosa che assomiglia sempre di più ad una trappola ben congegnata. Ecco i...
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La scomparsa di Raffaele
Non si può non cominciare da qui. Dal momento in cui Raffaele Russo - la mattina del 31 dicembre - saluta i suoi familiari (oltre agli altri due scomparsi, in quel momento, nell'albergo di Ciudad Guzman si trovano anche altri due suoi figli, Francesco e Daniele) e sale a bordo di una Honda bianca presa a noleggio. Esce, come tutte le mattine, dall'hotel Fuerte Real dove alloggia per iniziare il suo giro da venditore ambulante nei villaggi e nelle frazioncine sperdute della regione.
Sarà, in seguito, e solo dopo molte ore, il GPS installato a bordo dell'auto a indicare la direzione. Raffaele punta verso sud. Verso la cittadina di Tecalitlan. Poi il segnale indicherebbe che la macchina prosegue in direzione di un piccolo centro: Jlotlan de los Dolores, inerpicandosi su una tortuosa strada di montagna tra colline aspre intervallate da foreste. Una strada deserta. Perché Raffaele Russo avrebbe deciso di imboccare quel percorso inospitale e inquietante? Particolare non trascurabile: da Tecalitlan a Jilotlan non c'è nulla: non una casa e tanto meno villaggi. Sessantaquattro chilometri in mezzo al nulla.
A rendere ancora più inquietante il tutto c'è un altro particolare. A Jilotlan si concentrano da tempo alcune indagini federali che portano le squadre speciali dell'esercito messicano a ipotizzare l'esistenza di una centrale di raffinazione di stupefacenti. Ma Raffaele non ha mai avuto a che fare né con personaggi ricercati in Messico né con ambienti riconducibili al narcotraffico. Ecco il primo, grande mistero che forse nessuno riuscirà mai a spiegare. Di fatto è in questa zona che Raffaele Russo scompare.
La ricerca dei parenti
Intorno alle 13 i tre figli e il nipote cominciano a preoccuparsi per il mancato rientro in albergo del 60enne. Lo chiamano ripetutamente al cellulare, che risulta spento. La preoccupazione cresce e così - verso le 15 - Antonio e Vincenzo decidono di andarlo a cercare. Non sanno che anche per loro sta per aprirsi un secondo buco nero che li inghiottirà. I due riescono solo a spedire ai parenti tre messaggi vocali via whatsapp nei quali spiegano - e questo è un elemento inequivocabile - di essere stati intercettati da alcune pattuglie della polizia locale mentre facevano rifornimento di benzina, a Tecalitlan. Ed ecco il secondo grande mistero. Che fine hanno fatto?
Il sindaco
Victor Diaz Contreras è il «presidente municipale» di Tecalitlan, il sindaco di una cittadina di 15mila abitanti. Volto pulito da ragazzino, si batte per i più deboli in un contesto ambientale non certo facile. «Sto facendo effettuare verifiche su tutte in entrata e in uscita al corpo della polizia municipale - dichiara - per capire come sia possibile che una voce di donna degli agenti in servizio prima confermi ai familiari degli scomparsi di avere in caserma due italiani, e successivamente sempre una voce femminile neghi la circostanza». Diaz Contreras non esclude che l'equivoco possa essere generato dal cambio di turno al centralino: anche se riesce difficile pensare che nessuno abbia informato della circostanza chi subentrava nel turno pomeridiano. Ad un'altra domanda, però, nessun organo municipale riesce a dare conferma: è vero che la radio della polizia municipale è collegata con quella della polizia federale? «Siamo preoccupati - conclude il sindaco - per come ci vedono in Italia dopo questo episodio. Quella di Tecalitlan, possa assicurare, ègente brava ed onesta.
L'ombra dei cartelli criminali
Al di là dell'impegno del giovane sindaco che ha promesso di impegnarsi in nome della verità, resta il fatto che questa parte della regione sudoccidentale del Messico è la stessa nella quale - da alcuni tempi - si è impiantata una delle più efferate e violente bande di criminali: il «Cartel Jalisco Nueva Generation», nelle cui linee agirebbero anche molti ex militari. In questo complesso scenario potrebbe essere accaduto questo: qualcuno avrebbe messo sotto controllo - il perché è ancora tutto da dimostrare - il sistema satellitare dell'auto di Raffaele Russo. Se si tratti di «divise» leali o corrotte dell'Esercito, è difficile da dire al momento. Se questo è vero, allora il 60enne napoletano sarebbe finito in una trappola bella e buona. Subito dopo, il movimento degli altri due giovani che hanno iniziato a girare in lungo e in largo alla sua ricerca non sarebbe sfuggito a quelle stesse forze dell'ordine. Solo un'ipotesi, è vero. Che, però, confermerebbe quanto facile sia precipitare in un cono d'inferno, nello Stato di Jalisco: lo tesso nel quale - dal 2014 al 2016 (dati ufficiali) 6943 persone sono state sequestrate, 4782 delle quali ritrovate poi in vita, 282 morte e il resto - troppi - ancora ufficialmente desaparecidos. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino