Armi e documenti contraffatti. È così che la Campania e soprattutto il capoluogo partenopeo sono finiti da anni sotto la lente d'ingrandimento...
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Gli arresti di ieri sono giunti dopo un certosino monitoraggio durato oltre un anno, alla conclusione dell'inchiesta si è arrivati anche per ragioni tecniche procedurali. Resta alta però l'attenzione nel Napoletano sulle connessioni tra alcuni stranieri, soprattutto algerini, insediatisi nel capoluogo partenopeo e cellule dormienti del jihad. A testimoniarlo è anche l'ultima relazione al Parlamento della nostra intelligence che mette in luce le contiguità tra i clan del posto e gli stranieri irregolari. «È stata evidenziata, principalmente in area campana, la disponibilità di alcuni clan a fornire supporto logistico ai migranti - hanno scritto gli analisti del Dis - essenzialmente nel procacciamento di documenti contraffatti. Gli stessi migranti costituiscono bacino di reclutamento sfruttato tanto dai circuiti malavitosi nazionali, specie per attività lavorative in nero, quanto, in maniera più strutturata, da sodalizi stranieri». Non solo, ma gli 007 precisano come sia stabile e continua la ricerca di documenti falsi anche tra quanti hanno connessioni con i tagliagole dell'Isis. «Il tema della contraffazione dei documenti - spiega il Dis nell'ultima relazione - ha costituito oggetto di dedicata attività intelligence con specifico riferimento alla piazza campana, tradizionale bacino di approvvigionamento per soggetti e gruppi della più disparata matrice, inclusa quella jihadista». Un pericolo costante quello dei documenti contraffatti alla luce della legione di foreign fighters, circa 8mila, partiti dall'Europa verso Siria e Iraq per combattere e che ora vogliono tornare in Europa per vendicare la caduta del Califfato.
I continui arresti, l'opera di accerchiamento messa in atto dalle forze di polizia nei confronti dei clan camorristici, ha infatti diminuito sensibilmente la capacità delle organizzazioni criminali partenopee. Non solo, ma i grandi sodalizi della camorra sono divisi in tanti micro-gruppi. Una buona notizia sul fronte della sicurezza interna, ma proprio questa debolezza dei clan locali ha portato i membri della camorra ad essere più disponibili - anche inconsapevolmente - verso cellule dell'estremismo islamico basate nella nostra regione. Tanto più se questi «servizi di assistenza» possono portare vantaggi economici. Diverse sono state le operazioni di polizia negli ultimi anni che hanno visto spesso la Campania meta logistica del jihad. Da un lato i documenti, dall'altro c'è attenzione da parte dei terroristi al territorio per l'approvvigionamento di armi. In un'intercettazione, Anis Amri, il tunisino protagonista dell'attentato ai mercatini di Natale di Berlino nel 2016, disse chiaramente: «Vado a Napoli e mi procuro un kalashnikov». Così come un italo-francese di origini napoletane che faceva parte del commando degli attentati di Parigi e del Bataclan - ribattezzato al-Italy - si informava sul web sul modus operandi della camorra.
Non solo Napoli, ma anche Caserta è diventata epicentro delle inchieste negli ultimi anni. Lo scorso marzo, a San Marcellino, si è arrivati all'arresto di un foreign fighter. Lì dove proprio la moschea del piccolo centro casertano è finita più volte all'attenzione di polizia e 007 per una rete di tunisini e algerini dedita alla contraffazione di documenti. Anche l'imam della moschea di San Marcellino, poi prosciolto da ogni accusa, fu invischiato in un'indagine per presunti contatti con cellule terroristiche. Un monitoraggio che continua da anni e che diventa sempre più complesso da un punto di vista operativo, soprattutto perché, con il passare del tempo, determinate comunità straniere sono riuscite a radicarsi e a confondersi con il tessuto sociale del luogo. Un contesto su cui non è mai possibile abbassare la guardia anche perché il pericolo maggiore viene dai cosiddetti «lupi solitari». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino