«Nell'Anno Domini 2019 un battaglione di vigili urbani prese possesso del Teatro di San Carlo, lo sottrasse al dominio della Repubblica italiana e lo restituì...
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Con il teatro, il primo cittadino vorrebbe anche Castel dell'Ovo e la sede dell'ex Ospedale militare. Ma mentre per questi l'operazione appare semplice (restando incomprensibile), per il San Carlo andrebbe operata una chirurgia di precisione. Vallo a tracciare, infatti, il confine tra il Teatro, il Palazzo reale, i giardini, il parco, le terrazze e il Circolo nazionale dell'Unione. Con il battaglione dei vigili, dovrebbero arrivare anche un paio di geometri e qualche ingegnere. Ci abbiamo provato noi, percorrendo i corridoi di quell'unico, bellissimo, corpo di fabbrica, a costruire un camminamento netto tra i beni. Ma non è possibile. Il San Carlo esplode nel Giardino dei romantici di Palazzo reale; le terrazze del Circolo dell'Unione si mescolano a quelle del teatro e a quelle della residenza del Re. I balconi sono uno nell'altro, perfino l'ascensore non si ferma alla frontiera e collega tutto, indistintamente. Un solo corpo di fabbrica. Una sola linea di bellezza dal mare verso l'interno. La mescolanza comincia proprio dall'ufficio della Sovrintendente (con la v) della Fondazione Teatro di San Carlo, che si trova dentro le stanze della Soprintendenza (con la p) che occupa Palazzo reale. Una pacifica convivenza. Gli uffici del teatro affacciano sui balconi dell'edificio del re. Un lungo corridoio, poi, congiunge gli ambienti dell'ente lirico con quelli del Palazzo. Una tela a tutta parete del 1810, consolle antiche in legno e marmo, sedie. Tutto il patrimonio è mescolato: oggetti, quadri, pareti. Sugli spazi del foyer storico del San Carlo è poi cresciuto il Circolo nazionale dell'Unione, che a sua volta occupa altre stanze e terrazze del Demanio, mescolandosi sia al teatro sia al Palazzo reale. Inseparabili, letteralmente. Il Teatro, poi, è davvero una gemma incastonata tra Palazzo e Circolo. Diventasse del Comune, sarebbe una isola amministrativa.
Lo aveva già certificato, del resto, proprio il Ministero del Beni culturali, nel 1990. «Questo importante complesso - si legge in una nota - costituente uno dei capolavori del Neoclassico italiano, è intimamente legato al Palazzo reale di cui fa parte integrante». L'intimità è una cosa seria e la vedi in ogni angolo di questo complesso edificio. Tutti i camerini del lirico danno sui giardini di Palazzo, l'area di carico e scarico delle scene è in una zona interna del cortile, il Salone degli specchi ha gli scaloni che terminano nei giardini, perfino la bellissima sala prove degli orchestrali, ricavata in una buca a un piano sotto terra, si allarga nella pancia del parco ed è illuminata da una vetrata che circonda l'installazione dei cavalli di Palladino. Come la togli di lì? E di chi è lo spazio sotto la terra? Della Repubblica italiana o di quella partenopea?
Lo stesso problema ci sarebbe per la Sala Tebaldi, altra stanza delle prove, o per il retropalco che ha un portellone enorme che si allarga direttamente nel cortile del Palazzo reale e che, aperto in alto, in uno spicchio, consentiva al corpo di guardia di vigilare sul Re mentre assisteva allo spettacolo. E alle spalle del palco stesso c'è una porta magica. Un passaggio segreto. Un attraversamento interno tra il palco più bello del teatro e gli appartamenti del Re. Doveva consentire al sovrano e alla regina di entrare in teatro senza lasciare il palazzo. Quella porta è chiusa: ci sono due chiavi. Una ce l'ha la sovrintendente del San Carlo, un'altra il presidente del Circolo dell'Unione. Che si fa, dopo l'annessione? Si mura tutto? E si murano anche i balconi che collegano il retropalco del teatrino di corte con il retropalco del San Carlo, realizzando, a infissi aperti, una magnifica linea di aria e di luce? Non separi la burocrazia quello che la storia ha unito, si dovrebbe dire, come per tagliare le mani sacrileghe a chi forse non ha capito di cosa si sta parlando. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino