Rubavano soldi ai turisti, a Napoli ecco i doganieri predoni

Sottratti 3mila euro a una visitatrice Usa, anche tre finanzieri nel mirino della procura

Turisti all'aeroporto di Napoli
C’è chi non ha avuto esitazione a rubare tremila dollari dal contenitore del passaporto di una turista statunitense giunta a Napoli. Un trattamento poco ospitale...

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C’è chi non ha avuto esitazione a rubare tremila dollari dal contenitore del passaporto di una turista statunitense giunta a Napoli. Un trattamento poco ospitale riservato anche a un cittadino cinese, al quale sono stati chiesti 1500 dollari, per evitare controlli a lui e al suo gruppo appena giunti all’aeroporto di Capodichino.

Ma la galleria di reati, omissioni e irregolarità sarebbe decisamente più varia e articolata, secondo quanto emerge dal blitz nei confronti di alcuni funzionari dell’ufficio dogane di Capodichino, finiti sotto inchiesta assieme a tre esponenti della Guardia di Finanza, che - a loro volta - avrebbero aiutato i doganieri a dribblare le indagini e a depotenziare cimici, microspie e telecamere piazzate dalla Procura di Napoli. E non è tutto. Stando agli atti dell’inchiesta messa a segno ieri emerge che tra le vittime delle presunte richieste di denaro ci sarebbe anche un facoltoso manager di una società di basket americana: si chiama Tom Gores, giunto a Napoli prima del Covid a cui un doganiere avrebbe chiesto una sorta di tangente per rendere più spedito il suo scalo partenopeo (ovviamente l’imprenditore è estraneo alle accuse contestate).

Brutta cartolina da Napoli, secondo quanto emerge dalle indagini condotte dai pm Antonello Ardituro (oggi sostituto procuratore nazionale antimafia) e Immacolata Sica, titolari delle indagini culminate in arresti e misure interdittive, firmati dal gip Luca Rossetti. Peculato, abuso d’ufficio, concussione, furto sono le accuse mosse nei confronti dei doganieri; mentre alcuni finanzieri (tra cui l’ex dirigente del settore di Capodichino) dovranno difendersi dall’accusa di aver aiutato i doganieri a sviare le indagini.

Una storia che conviene raccontare dall’inizio, che può essere riassunta in una intercettazione che basta da sola a far emergere il presunto andazzo rivelato nel corso delle indagini. È il 24 ottobre del 2019, quando viene intercettata la conversazione di un giovane doganiere, che parla al telefono con la fidanzata. Lui si chiama Nazzareno Signoriello e si esprime in questo modo, a proposito di quanto avverrebbe nel suo ufficio: «Ci sono i più anziani che vogliono fare da padre padrone e che sono tutti figli di p... in questo ufficio ci vogliono passare tutti, perché c’è la marmellata, a buon intenditore poche parole, credimi questi fanno paura, pensa che neanche le camicie pagano, hai capito come funziona?». 

Conviene a questo punto raccontare i risvolti di questa vicenda, a partire dai nomi dei presunti responsabili dell’assalto alla marmellata, nell’ufficio delle Dogane. Doverose però due premesse: nel corso delle indagini, è stato decisivo il lavoro svolto dal comando provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, che ha assicurato la professionalità di sempre negli atti investigativi disposti dalla Procura di Napoli anche nei confronti dei loro colleghi; ovviamente, tutti i soggetti coinvolti nelle indagini avranno modo di dimostrare la correttezza del proprio lavoro e vanno pertanto considerati non colpevoli fino a prova contraria. Fatto sta che finiscono agli arresti domiciliari i doganieri Maurizio La Marra e Claudio Lavino; mentre scattano misure interdittive a carico di Carlo Feola, Pierluigi Gallo, Giosuè D’Orazio, Francesco Elpidio Sorrentino; Antonio Ambrosino, Giovanni Angelico, Alfonso Mattiello; misura interdittiva anche nei confronti dell’ex comandante della compagnia della Finanza di Capodichino, l’ufficiale Giorgio Lanni e il collega Giulio Tortale, che avrebbero omesso di denunciare le criticità emerse nel corso delle indagini sul lavoro di alcuni doganieri. 

Un’inchiesta che prende le mosse dalla denuncia di una cittadina statunitense. Siamo nel 2019, quando B.B. arriva a Capodichino assieme a una compagna di viaggio. Sono dirette alle isole del golfo, ma vengono bloccate all’ufficio Dogane. O meglio. L’unica che viene controllata è Brake Brent, che viene condotta in un ufficio riservato da due agenti delle dogane, che le chiedono il passaporto. Nel portadocumenti ci sono 3000 dollari, assieme alla foto della mamma defunta della cittadina statunitense. Soldi e foto spariranno.

E la turista se ne accorgerà solo una volta giunta nel taxi, al punto tale da ritornare in quell’ufficio e pretendere la somma ritenuta trafugata. Ma c’è un retroscena che è finito agli atti dell’inchiesta: l’amica di B.B., notando la stranezza del primo controllo, ha avuto la prontezza di filmare la porta di ingresso dell’ufficio, in modo da rendere più spedite le indagini dopo la denuncia. Per l’indagato principale di questa vicenda non sarà possibile procedere, dal momento che la riforma Cartabia impone alle parti lese per i reati di furto di confermare la denuncia.

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Il Mattino