Napoli, Galleria Umberto ridotta a latrina: la rovina tra clochard e impalcature

Napoli, Galleria Umberto ridotta a latrina: la rovina tra clochard e impalcature
Dimenticando per un attimo il bel documentario di Alberto Angela, nella Galleria Umberto I convivono salotto e degrado, grandi griffe e clochard, gruppi scultorei e tubi...

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Dimenticando per un attimo il bel documentario di Alberto Angela, nella Galleria Umberto I convivono salotto e degrado, grandi griffe e clochard, gruppi scultorei e tubi Innocenti, marmi e immondizia, incuria e turismo. I due volti della Galleria sono indivisibili, nel male e nel bene, e suscitano in chi la attraversa rabbia, stupore, sdegno ma anche meraviglia e apprezzamento. Sono in tanti a sceglierla come set, la Galleria Umberto. Non solo Stanotte a Napoli, ma anche È stata la mano di Dio, il film di Sorrentino e la fiction sulla vita di Renato Carosone. Solo la realtà, però, restituisce la natura attuale del monumento: la Galleria Umberto è arte e scritte oscene, tornei di calcio notturni e tavolini di bar. Proviamo a raccontarla, senza filtri artistici.



Tra la bellezza e il degrado, spesso prevale il degrado. Ce ne accorgiamo già dal lato di via Santa Brigida. Solo uno dei quattro ingressi non è assediato dai tubolari, ma non è questo. Qui, in mezzo ai tralicci di sostegno al palazzo, si notano subito i cartoni dei clochard. I tubolari diventano case-rifugio per le decine di senzatetto che occupano stabilmente la Umberto I. Alcuni di loro dormono in fila, a metà mattinata, sotto i cartelloni degli spot pubblicitari delle griffe. Oppure sotto le insegne «affittasi» dei locali vuoti. Le impalcature assediano in particolare l'ingresso dal lato di via Toledo, in quell'area in cui nell'estate del 2014 si consumò la tragedia del giovane Salvatore Giordano, ucciso da un calcinaccio killer.

Perfino la sua foto commemorativa è sepolta dalle impalcature. Tutto è ancora come 8 anni fa. Tubolari e tralicci, transenne che vivono un'eterna condizione di urgenza e messa in sicurezza post-crollo. Questo è il punto più affollato dai turisti felici, rubati al passeggio di via Toledo, che addentano pizzette o sfogliatelle e fanno lo slalom tra ambulanti e opere d'arte. E, visto che anche la contraddizione ha un filo logico, questo ingresso è quello preferito dei clochard, che utilizzano i pali d'acciaio come banconi di osteria, appendiabiti o guardaroba.



L'ingresso dal lato del San Carlo non ha tubolari, ma scritte insulse opera di incivili, più un terribile buco nel pavimento, distrutto e transennato. Se ci fosse un concerto sotterraneo, stile belle epoque come quello citato da Angela, da qui lo si apprezzerebbe come in prima fila. E poi, tra i gradini spaccati e le traballanti tavole di legno che coprono i vetri malmessi del pavimento, escrementi e rifiuti a pochi centimetri da un panettone abbandonato. Piazzetta Matilde Serao, poi, regno della storia della stampa napoletana, è ridotta a orinatoio e terra di immondizia. Qui, nel 1892, nacquero i primi uffici de Il Mattino. «Paragonare questa Galleria a quella di Milano - sospira Gennaro Capasso di Ke kafè - è come paragonare una Fiat Uno a una Ferrari. La Umberto I è da serie B, abbandonata al degrado, ai clochard, ai tetti che perdono quando piove e creano piccoli laghi. Nonostante i fitti siano altissimi. Paghiamo tra i 6 e i 7mila euro mensili per circa 40 mq. Infatti ci sono diversi negozi sfitti. Le grandi griffe difficilmente si accostano qui, sia per i prezzi, sia per una questione di immagine: quale colosso sceglie in una Galleria tenuta così male?».

Guardare in su rimette in pace col mondo. La cupola è più alta di quella milanese, anche se i vetri sono un po' ingialliti. Rasserenano le grandi statue degli angeli serafici che sorvegliano i passanti, ma anche loro, a ben vedere, sono ingabbiati dalle retine di contenimento. La fessura nel pavimento al centro della Galleria, da dove un tempo si sbirciavano cabaret e belle epoque, oggi è occupata dalle renne natalizie (che hanno sostituito il tradizionale albero dei desideri, che nel 2021 non è stato montato né, dunque, rubato dagli scugnizzi dei Quartieri). Lo sguardo, poi, torna ad altezza d'uomo. Le coppiette sorridenti alle prese coi selfie, i turisti che ridono. I tavolini dei bar. Le targhe, che ricordano che questa fu la culla del giornalismo napoletano: Matilde Serao qui inaugurò anche l'esperienza de Il Giorno. Gli occhi, però, possono scendere ancora più in basso, e scoprire che la Galleria oggi la migliore versione di sé. E cioè il suo passato. Ma è un inseguimento pigro, come se la città e la sua Galleria fossero sopravvissute alla fine del loro slancio vitale. La terribile scritta «Ciro» fatta con bomboletta spray nera sui marmi del Risanamento, si erge da anni a pochi passi dal pavimento distrutto, dai suoi vetri spaccati. E dai suoi mosaici sbiaditi, sottoposti a interventi di restauro che ne hanno cancellato le tessere con colate di stucco.



La Galleria sembra imprigionata in un presente che calpesta continuamente il passato da cui deriva. Un'incuria così radicata che confina, da un lato con la logica napoletana della sopravvivenza nonostante tutto, e dall'altro con la speranza che prima o poi la città cambi. In compenso, però, c'è anche chi invece non si lamenta di niente, anzi: «Si guadagna molto bene qui con i turisti, facciamo ottimi affari, molto meglio che ai Decumani dove invece va tutto un po' a rilento», ammicca Mohamed, un migrante che vende borse e accessori, ovviamente pezzotti, tra piazzetta Matilde Serao e la Umberto I.
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Il Mattino