«Così hanno ucciso Lino Apicella a Napoli, i poliziotti speronati da un bolide»

«Così hanno ucciso Lino Apicella a Napoli, i poliziotti speronati da un bolide»
Sono stati i tre secondi più lunghi della sua vita. Per molti versi, rivisti quasi un anno dopo, quei tre secondi non sono mai passati veramente, come gli incubi ricorrenti...

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Sono stati i tre secondi più lunghi della sua vita. Per molti versi, rivisti quasi un anno dopo, quei tre secondi non sono mai passati veramente, come gli incubi ricorrenti che ti tormentano sempre, anche da sveglio. Parla per la prima volta da quando è successo il fatto. È il sopravvissuto, il passeggero, quello che sedeva alla destra dell'agente Pasquale Apicella, ucciso da una banda di rom a bordo di un'auto rubata, dopo una notte di razzie. Si chiama Salvatore Colucci, assistente capo, ed era al fianco di Lino, sul posto passeggeri. Quella di ieri è stata la sua prima testimonianza, dopo il dramma dello scorso aprile, quando la vettura della polizia venne letteralmente speronata dal bolide guidato da un cittadino di origine rom che, assieme ad altri due connazionali, aveva svaligiato due banche e stava provando la fuga.

Spiega l'agente: «Andavamo a quaranta-cinquanta orari, avevamo una velocità volutamente bassa, perché eravamo sulle tracce di un'auto che era sfuggita a due posti di blocco. Era buio, andavamo piano lungo Calata Capodichino, sapevamo che da un momento all'altro ci saremmo trovati di fronte la macchina guidata dai cittadini rom». Una previsione drammaticamente corretta, dal momento che in una manciata di istanti si materializza quell'incubo su quattro ruote: «Andava velocissimo e a fari spenti. Ha accelerato, nel tentativo di trovare un corridoio per seminarci. Li abbiamo visti arrivare e abbiamo contato tre secondi». Uno, due, tre. Tanto è durata la speranza di sopravvivenza di Pasquale Apicella, marito e padre, orgoglioso di indossare la divisa della polizia. Uno, due e tre. Poi lo schianto, il botto. «Ho visto la loro auto rinculare, ricadere sulle quattro ruote, come se fosse rimbalzata. Ho sentito dolore alle gambe, non riuscivo più a muovere più gli arti inferiori. Ho visto uno di loro scappare, istintivamente ho provato ad aprire la porta per inseguirlo, ma avevo le gambe bloccate, sentivo dolore». In aula piange la moglie di Lino Apicella. È costituita parte civile, assieme ai genitori dell'agente ucciso (rappresentata dal penalista Gennaro Razzino), non ha retto all'emozione di ascoltare la ricostruzione degli ultimi istanti di vita del marito.


LE ACCUSE
Inchiesta condotta dal pm Valentino Battiloro e Cristina Curatoli, l'accusa di omicidio volontario, tentata rapina e tentato furto aggravati e di ricettazione a carico di Fabricio Hadzovic, 40 anni (difeso dall'avvocato Cesare Amodio), l'autista dell'Audi A6 che si è scontrata a tutta velocità contro la «pantera» della Polizia; poi gli altri due passeggeri dell'auto rubata, vale a dire Admir Hadzovic, 27 anni (difeso dall'avvocato Raffaella Pennacchio) e il 39enne Igor Adzovic (difeso dall'avvocato Giovanni Abbate), mentre l'ultimo componente della banda, il 23enne Renato Adzovic (anche lui difeso da Raffaella Pennacchio), non risponde dell'omicidio volontario, in quanto non era a bordo dell'A6.
Aula 116, corte di assise del Tribunale di Napoli (presidente Lucia La Posta), è il giorno della testimonianza degli agenti, dei colleghi di lavoro di Lino Apicella, di quelli che - all'alba dello scorso 27 aprile - stavano impedendo la fuga di una banda di rapinatori provenienti dal campo rom di Giugliano. Tocca a un primo poliziotto, che ricorda la fase iniziale dell'inseguimento: «Ci gettarono contro auto di scorta, ferri e chiavi inglesi, nel tentativo di impedirci di proseguire la rincorsa». Poi è toccato al sopravvissuto raccontare la sua esperienza al fianco di Lino: «Andavamo piano, c'era stato il ponte radio, sapevamo che sarebbero sbucati all'improvviso».

Ma a quale velocità? Ha le idee chiare, il sopravvissuto: «Noi andavamo piano, tra i 40 e i 50 orari, loro andavano veloci. E, quando ci hanno visti, abbiamo notato l'accelerata finale, nel tentativo di trovare un varco o di impedirci di proseguire». Stando a una perizia della Procura di Napoli, l'Audi guidata dai rom andava a 140 chilometri orari, a fari spenti e in accelerata. Quanto basta a spingere gli inquirenti a battere sul dolo pieno, sulla pista dell'omicidio volontario, a scartare - perizia alla mano - ogni altra possibile ricostruzione. Fondazione polis parte civile (difesa dall'avvocato Celeste Giliberti), tensione a fette in aula, tocca ora al consulente del pm ricostruire - perizia alla mano - quei tre secondi raccontati ieri dall'agente sopravvissuto.
 

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Il Mattino