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«Un giorno avevo le cuffie e lui mi disse “voglio metterle anch’io”. Dovetti spiegargli che “un pezzetto del suo orecchio era rimasto nella pancia di mamma” quando lui era nato». Marianna Allozzi, 34 anni, è la madre di Mattia (nella foto quand’era più piccolo, insieme ai genitori) che oggi ha 3 anni ed è affetto da atresia all’orecchio destro, una malformazione congenita che ha dalla nascita. Una problematica che ha condizionato da subito la vita del bimbo di Secondigliano, che a quell’orecchio sente al 30%. «Durante la gravidanza i medici non avevano riscontrato alcuna anomalia - spiega la mamma - solo quando ho partorito mi hanno dato la notizia. Da allora ogni 6 mesi Mattia si sottopone a esami audiometrici». Pian piano che cresce però il bambino manifesta difficoltà: oltre che nell’udito, potrebbe averne anche nel linguaggio e nell’equilibrio. «Lui non sente i suoni che noi magari percepiamo appena e in ambienti dove c’è molto rumore si tappa le orecchie perché gli dà fastidio». Intanto da un anno Mattia ha interrotto gli esami a cui doveva sottoporsi periodicamente, a causa del Covid. Ma l’urgenza maggiore, quella che gli consentirebbe di condurre una vita normale come i suoi coetanei, è un intervento che in Italia è possibile fare soltanto intorno agli 11-12 anni. Anche se questo significherebbe rallentare e rendere ancor più difficoltoso il suo percorso di crescita psico-fisica. Così un giorno Marianna, navigando in internet per informarsi sulla malformazione del figlio, si è imbattuta in un famoso specialista che lavora a Los Angeles.
«Da quando Mattia è nato i medici ci dissero che avremmo dovuto affrontare tante problematiche, considerato che al 90% non aveva nemmeno il condotto uditivo», spiega ancora Marianna insieme al marito Luca Grasso, di 35 anni.
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Il Mattino