Si guardano negli occhi, i soci della pizzeria Di Matteo, e danno sfogo a tutta la frustrazione accumulata in questi anni: «La verità - dice uno dei soci - è...
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Dopo la bomba all'esterno del locale di Gino Sorbillo, gli spari alla pizzeria di Salvatore Di Matteo (ma vanno ricordati anche gli spari contro la pizzeria Terra mia di via Duomo ai primi di gennaio), che fanno segnare un crescendo. È il ritorno dei Sibillo, quelli della Paranza dei Bimbi, dopo la scarcerazione dello scorso luglio del capostipite, in un clima di faida aperta e violenta contro i Buonerba (Mazzarella) per il controllo dell'oro di Napoli, leggi food nel centro storico baciato dalla presenza di turisti mai visti fino ad ora. Ma torniamo alle indagini, che raccontano un clima di violenza che si è abbattuto sull'intero corpo di Napoli. Ed è uno dei commercianti intercettati dai carabinieri nell'attesa di essere ascoltato per gli spari a Di Matteo a confermare il dato: «La verità è che qui pagano tutti e nessuno parla - si sente in ambientale - e ho paura anche io, solo qui ormai andiamo a lavorare senza guadagnare niente, per dare i soldi a loro, a stento paghiamo i nostri operai».
Ma c'è un punto di rottura, di non ritorno. Lo spiega Salvatore Di Matteo, dopo aver subìto gli spari nella saracinesca. Per anni, i suoi soci hanno versato cento euro alla settimana «per le famiglie dei carcerati», fino a subire richieste sempre più esose. «Prima di Natale scorso, ci chiesero 10mila euro. Facemmo una riunione tra soci, riuscimmo a versare solo 5mila euro». Dal racconto dei soci, anche una sorta di identikit ritenuto importante per stanare gli uomini del pizzo. Ha spiegato ancora Di Matteo agli inquirenti: «Avevano barbe nere, uno era alto un metro e ottanta, l'altro più basso rimase accanto allo scooter». Ma le richieste non sono finite tanto che lo scorso 4 marzo è Vincenzo Sibillo a mostrare il proprio volto violento e arrogante per una nuova richiesta estensiva. Pochi giorni dopo gli spari nella saracinesca, dunque, il clan Sibillo (quelli della Paranza di San Gaetano) avrebbe avanzato una nuova richiesta, nel tentativo di chiudere il cerchio.
A rendere tutto più irritante, la richiesta continua di cibo, di pizze proprio a chi stava cercando di riorganizzarsi dopo gli spari subiti all'interno del negozio: «Dopo gli spari, dopo la notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi, ci chiamarono per avere ancora delle pizze». Insomma, una sorta di messaggio sinistro per chi doveva assecondare richieste di estorsioni sempre più alte. Testimonianze coraggiose, decisive a far scattare i quattro fermi eseguiti ieri all'alba, in uno scenario investigativo reso efficace anche dalle intercettazioni captate dai carabinieri. Una volta assieme, i soci della pizzeria si confrontano sui peggiori clienti avuti in questi anni. E si scopre così che quando era vivo Emanuele Sibillo, era lui ad occuparsi della raccolta delle cento euro a settimana nelle pizzerie della zona, mentre si prova a fare chiarezza anche sui suoi affiliati ieri finiti in manette: «Hai visto Napolitano? - dice Di Matteo - una volta entrò nel locale, chiese cosa avessimo sul bancone, si fece fare una pizza e non la mangiò ritenendola troppo dura»; gli risponde un altro socio: «Fa sempre così, stesso atteggiamento da parte di Vincenzo Sibillo, mentre Ingenito è quello che si siede, non paga ed è sempre prepotente».
Difesi dal penalista napoletano Riccardo Ferone, ora i quattro fermati potranno replicare alle accuse nel corso della convalida prevista lunedì dinanzi al gip, mentre la Procura punta a raccogliere altre informazioni su quel clima di paura che si è abbattuto sul centro storico. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino