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La desolazione di Villa Ebe è uno dei cazzotti allo stomaco più dolorosi offerti da questa città. Anzi, la devastazione che affligge il castello in cui si suicidò il grande urbanista Lamont Young è essa stessa una ferita inferta a Napoli, ai napoletani e alle centinaia di turisti di alto profilo che ogni settimana fanno tappa in questo luogo, in questa storia che è il racconto di un fallimento collettivo. Dall’esterno, i soldi del fondo «C40» emesso nel 2022 per salvare Villa Ebe - e a rischio scadenza, come abbiamo scritto ieri insieme con il vertice tra procura, sovrintendenza e Comune - sono percepibili nei bagni chimici montati fra i rovi dell’ingresso. Balconi, aree verdi, corridoi: tutto ciò che è visibile di Villa Ebe odora di devastazione. Sul cancello principale, svetta il cartello con la comunicazione di un sequestro preventivo della Procura di undici giorni fa. Poi niente più.
«Sei la più bella del mondo», ha scritto qualche ragazzino con una bomboletta spray nera a tre metri di distanza dalla Villa. Ed è proprio così: Villa Ebe è il posto più bello di Napoli. Una bellezza innata, dovuta a Lamont Young e al profilo del Golfo. Ma la bellezza, di per sé, è un concetto neutro, che può raccontare il fallimento o il lieto fine a seconda di quanto la si cura. L’immondizia ovunque, le pietre crollate dei corridoi e dei balconi, le erbacce e i fiori selvatici tra i marmi: la narrazione, qui, è quella di una bellezza tanto straordinaria quanto sprecata.
Dove c’era un giardino, oggi c’è uno strano tipo di giungla in cui l’immondizia e la flora sono una cosa sola. A curare le piante di Villa Ebe, ai tempi della giunta dema, c’era Pasquale Della Monica, memoria delle rampe del Chiatamone su cui si arrampica il castello: «Roberto fu allontanato dalla Villa un paio d’anni fa - racconta - Il soffitto era distrutto dopo l’incendio. E lui lo riparava. Gli operai hanno iniziato a venire da un paio di mesi, ma non tutti i giorni. Salgono tanti turisti, se ne vanno con la testa abbassata. Qui dovrebbe sorgere un luogo culturale». Della Monica ha poi una teoria sul suicidio di Lamont Young nel 1929: «La Villa porta il nome di Ebe, la giovanissima moglie dell’anziano architetto - dice - Lei, 19enne, aveva un altro uomo, da cui aveva avuto un figlio, ma non fu questo a determinare il suicidio. Il dolore enorme per l’architetto fu un probabile furto di progetti della metropolitana, avvenuto proprio da parte dell’amante di Ebe. Tornando sulla Villa, questo luogo può rinascere. Servirebbe un po’ di buona volontà da parte di una squadra di bravi ingegneri e operai». Eppure, la burocrazia rallenta le operazioni, e non si sa chi debba liberare i varchi per i lavori. Resta il bagno chimico, ma ieri al lavoro non c'era nessuno. Come in un pensiero magico, la bellezza di Villa Ebe è intensa quanto la sua devastazione. Questo rende più dolorosa la ferita negli occhi di chi la guarda. Le rampe sono spaccate in qualche punto.
E nella parte alta di via Egiziaca a Pizzofalcone, proprio a due passi dalla stazione de “I Bastardi di Pizzofalcone”, c’è un immenso spazio abbandonato. Migliaia di metri quadrati in preda a rovi e incuria. Ci si accede da un foro nel muro di tufo che costeggia il marciapiede. Potrebbe nascere un parco urbano, qui. Invece è il regno del nulla. Eppure, qualcosa si muove a Monte Echia: il cantiere per l’ascensore è quasi finito. Il vano ricorda l’architettura industriale fatta in pietra grigia, e rimanda ai bunker della seconda guerra mondiale. L'attivazione è prevista in primavera, stando ai tempi dettati dal Comune. È un passo nella direzione giusta, ma non è abbastanza per cambiare verso alla bellezza di Monte Echia, per farle raccontare un destino diverso da quello del fallimento.
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