La carriera di Pino cominciò a bordo di una Cinquecento blu, con la quale intorno alla metà degli anni Settanta prese a fare le prime serate. Suonava a feste di ogni tipo, nei...
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Pino Daniele m’è frate a me, sembra ribadire Nello Daniele in punta di piedi raccontando il lazzaro felice in Je sto vicino a te (Mondadori, pagine 113, euro 17). E il riferimento non è suggerito solo dalla tragica coincidenza tra l’uscita, oggi, del libro, proprio all’indomani dell’addio a Luca De Filippo, né dalla constatazione dell’anno orribile per la cultura napoletana, e quindi italiana, che nel 2015 ha visto andare via il Nero a metà, Francesco Rosi ed il figlio del sommo Eduardo. È il tono delle pagine, affidate nella scrittura a Antonio G. D’Errico, a riportarci a «Natale in casa Cupiello», a una città che milionaria non è riuscita mai ad essere, alla storia di quei napoletani più che speciali che non se ne sono mai davvero fuggiti da Napoli, portandola in ogni cosa che hanno fatto.
Nello racconta Pino con il tono di chi ha visto da molto vicino il miracolo di uno scugnizzo che a soli 18 anni scriveva nei vicoli un capolavoro come «Napule è», un canto feroce e verace come «Terra mia». Non azzarda analisi musicali né sociologiche, ma racconta restituendocene colori e profumi la festa grande per le pizze fritte la domenica in vico Candelora, nella sala da pranzo della nonna, donna Cuncetta. «Mo’ facimmo ’a nonna», diceva Pino quando sul palco attaccava il pezzo dedicato alla signora che sapeva che il tempo delle cerase era finito e nascondeva nel suo tuppo nero tutte le paure di un popolo che cammina sotto il muro.
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Il Mattino