Delitto Materazzo, vacilla l'alibi di Luca: tre testi smontano la sua difesa

Delitto Materazzo, vacilla l'alibi di Luca: tre testi smontano la sua difesa
Prima la stazza fisica: «Corporatura media, slanciata, non mi sembrava basso». Poi le due voci: «Una aggressiva, che cercava di sovrastare l'altra; poi una...

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Prima la stazza fisica: «Corporatura media, slanciata, non mi sembrava basso». Poi le due voci: «Una aggressiva, che cercava di sovrastare l'altra; poi una voce flebile che chiedeva aiuto». Infine la scena clou: «Vidi quell'uomo col casco scuro che sbucava sulla strada, per allontanarsi lungo corso Vittorio Emanuele». Ricordi e sfumature nel corso del processo a carico di Luca Materazzo, imputato per l'omicidio del fratello Vittorio. Oggi ha 22 anni la prima teste, quel giorno - il 28 novembre del 2016 - era assieme alla madre quando vide la sagoma dell'assassino dalla corporatura media e slanciata...».


Ieri, mentre ripercorreva la scena dell'omicidio, era seduta a due metri da Luca Materazzo - vestito griglio e scarpe sportive, in piedi in gabbia - che non ha battuto ciglio. Ascolta con pazienza, Luca, si confida con il suo legale - il penalista Matteo De Luca - attende le prossime testimonianze.

Aula 115, sono tre i testimoni che negano di averlo incrociato quel lunedì sera, intorno alle 19. Sono i tre dipendenti del bar di piazza Quattro giornate, a due passi dalle scalette di Corso Vittorio Emanuele. Tutti e tre ripetono lo stesso concetto: «Quella sera nel bar non venne trasmessa la partita del Napoli contro il Sassuolo perché era scaduto l'abbonamento con il gestore. Non ricordo di aver visto Luca Materazzo nel locale». Dunque, un punto in favore dell'accusa? Tre testimoni che smentiscono Luca Materazzo su un punto chiave, quello secondo il quale la sera dell'omicidio dell'ingegnere Vittorio Materazzo, si sarebbe aggirato per bar e ristoranti in zona alla ricerca di un locale dove si trasmetteva il posticipo del lunedì del Napoli. Vacilla l'alibi di Luca. Eppure, in linea teorica, Materazzo jr potrebbe aver chiesto ad altri clienti all'ingresso del bar se fosse in corso la partita del Napoli, senza essere notato dai gestori.
 
C'è spazio anche per un momento pulp, come sempre accade quando si torna a ricostruire la dinamica dell'omicidio. Decine di coltellate, un uomo sgozzato sotto casa, l'ingegnere ucciso a 51 anni sotto casa, nel luogo in cui rincorreva i fantasmi della propria vicenda familiare, segnata dalla morte del padre nel 2013 (ma gli accertamenti sul corpo riesumato escludono una morte violenta per Lucio Materazzo). Dunque tocca al salumiere Rosario De Vivo rispondere alle domande. Prima Corte di assise, presidente Provitera, conferma quanto detto alla mobile sulle prime battute investigative, ripensando a quel lunedì di inizio inverno: «Ero in salumeria in viale Maria Cristina di Savoia, mia moglie impastava pane e pizze, avevamo la saracinesca abbassata nel timore di una rapina. Mia moglie sentì delle urla, uscimmo, alla fine vedemmo un uomo a terra. Avevo ancora il grembiule, lo tolsi e lo misi alla gola, nel tentativo di tamponare la fuoriuscita di sangue. Arrivarono due sorelle, pietrificate dalla paura, che ebbero difficoltà anche a capire se quell'uomo a terra fosse o meno il fratello».


Inchiesta coordinata dai pm Francesca De Renzis e Luisanna Figliolia, sotto il coordinamento dell'aggiunto Nunzio Fragliasso, si torna in aula giovedì prossimo alle 10.30, quando sarà ascoltato - tra gli altri testimoni - anche il commercialista Stefano Romano, il primo a rivolgersi alle forze dell'ordine subito dopo l'omicidio. Amico di sempre di Vittorio Materazzo, Stefano Romano ricordò l'ansia e i timori dell'ingegnere prima di essere ucciso: «Mi disse che aveva paura di essere ammazzato, mi raccontò le sue perplessità in merito al fratello Luca». Processo al giro di boa, in aula presenti ieri come parti civili Elena Grande, vedova di Vittorio Materazzo (assistita dai penalisti Arturo ed Enrico Frojo), ma anche le sorelle della vittima e dell'imputato (assistite dagli avvocati Simona Lai e Gennaro Pecoraro), decisive le prossime udienze in cui verrà ascoltato il gestore di un locale nei pressi di via Crispi (ha visto Luca nella toilette mentre si lavava via macchie di sangue) e gli uomini della scientifica, a proposito delle tracce biologiche trovate sull'arma del delitto. Nel chiuso della sua gabbia, Luca Materazzo - occhi socchiusi e volto contratto dalla concentrazione - medita le contromosse. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino