«Allah mi parla», il delirio di Sillah: chi è il soldato dell'Isis arrestato a Napoli

«Allah mi parla», il delirio di Sillah: chi è il soldato dell'Isis arrestato a Napoli
«Prendere la pistola per sparare e per uccidere». Parole mimate nel pieno del delirio religioso, nel chiuso della sua stanza del centro di assistenza di Lecce. Parole...

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«Prendere la pistola per sparare e per uccidere». Parole mimate nel pieno del delirio religioso, nel chiuso della sua stanza del centro di assistenza di Lecce. Parole registrate in diretta da una telecamera nascosta, che inquadra Sillah Ousman simulare il gesto di imbracciare un mitra e di fare fuoco. Una scena che lo stesso gambiano commenta in questo modo: «Ok vieni qua per favore, vieni, tu sei molto pesante e non so come ti senti, così, molto pesante». Eccolo il secondo gambiano arrestato a Napoli, stanato grazie alle indagini della Procura partenopea sulle cellule Isis sbarcate tra immigrati e richiedenti asilo. È il 14 giugno scorso, Sillah non sa che è sotto controllo, grazie alle accuse dell’altro militante Isis Alagie Touray, non sa che è guardato a vista nei suoi spostamenti tra Castri di Lecce e il centro di Bari, non sa che i reparti investigativi coordinati dalla Procura di Gianni Melillo e dall’aggiunto Rosa Volpe sono pronti ad intervenire quando - è il 9 giugno scorso - si mischia in una processione religiosa in un paesino pugliese. 

 
C’è il santo in processione, Sillah sembra determinato. In Libia è stato addestrato ad uccidere con le mani, con un coltello, a nascondere un esplosivo. Segue il santo fino alla Chiesa, poi si allontana, scavalca il muro di una villetta privata e viene bloccato dai carabinieri mentre «appare in completo delirio religioso». Quanto basta a far scattare una visita che conferma il carattere «psicotico» di un militante Isis, il suo stato di «delirio».
 
È lo stesso gip Alfano ad inserire la relazione medica stilata sul suo conto, che fanno emergere una personalità turbata e pronta a sferrare un attacco nel cuore dell’Occidente, contro gli infedeli: «Ricorrenti sono i riferimenti al piano mistico, quando parla di Allah e di spiriti che, attraverso voci esterne e interne, gli parlano indicando la strada...». La sua mente segue la logica elementare degli opposti: bianco-nero, giusto-sbagliato, notte-giorno, bene-male, africano-europeo, a partire dalla figura femminile detta «regina africana», che viene sdoppiata in «una bianca e in una nera». Condizione ideale per uccidere i «crociati», anche sulla scorta delle sostanze alcoliche e degli stupefacenti assunti dal gambiani. 

Ma non è tutto. È il 19 giugno scorso, l’uomo viene intercettato al telefono con la moglie in Africa, che lo rimprovera per la sua prolungata assenza: «Mi sono trasferito a Napoli - dice in riferimento alla sua prima convocazione presso la Procura partenopea - una città grande come Kombo, non chiedermi perché sono solo, io sono soldato di Dio». Parole molto simili a quelle intercettate due mesi fa ad Alagie Touray che da Licola invocava preghiere dei suoi amici, oltre a pronunciare in un video il giuramento di adesione al sultano del terrorismo Isis. È il 20 giugno, Sillah viene interrogato. Assistito da un avvocato di ufficio, il gambiano nega le accuse di terrorismo, ma si conferma il suo stato di alterazione: «Ho ricevuto una luce... ho una missione nel cuore da compiere... ho un segreto che mi lega a Dio», riferendosi a una missione di unità dei musulmani che non avrebbe alcuno sbocco violento. 


Eppure, al di là delle intercettazioni e del servizio di appostamento messi in campo da Ros dei carabinieri e Digos, c’è dell’altro. Ci sono le accuse di Touray, che racconta il momento della loro «crescita spirituale e militare», confermando di conoscere particolari sulla vita di Sillah che vengono confermati dal diretto interessato. Come la sua passione per Bob Marley e la decisione di partire dal Gambia l’11 maggio del 2016, nell’anniversario della morte del cantante giamaicano. Chi è Sillah? «Ama il reggae, è bravo a suonare il tamburo, conosce le lingue, ha un fratello in Inghilterra e una sorella che vive in Africa», incalza l’ex pupillo nell’indicare senza dubbio la sagoma di Sillah nel corso di un riconoscimento assistito disposto dalla Procura di Napoli. Non sembrano due fanatici improvvisati, al termine dei primi due mesi di accertamento di Ros e Digos. Anzi: entrambi fanno rifermenti alla figura di Batch Jobe, come uno dei reclutatori, ma anche ad altri nomi coperti da omissis. Entrambi parlano di 13 gambiani addestrati e spediti in Occidente, una rete del terrore che ora rappresenta l’ultimo target dell’inchiesta napoletana sull’Isis in Italia.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino