Storia di Antonio e gli altri ​guariti (a metà) dal Covid

Storia di Antonio e gli altri guariti (a metà) dal Covid
Antonio, 10 anni, si è ammalato ed è guarito dal Covid, ma è diventato aggressivo: violento nel linguaggio e intollerante a tutto, genitori e insegnanti non...

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Antonio, 10 anni, si è ammalato ed è guarito dal Covid, ma è diventato aggressivo: violento nel linguaggio e intollerante a tutto, genitori e insegnanti non lo riconoscono, nemmeno lui riesce a dare una spiegazione al cambiamento repentino. «In realtà, la sua è una classica reazione nei confronti degli adulti che non lo hanno protetto», dice Raffaele Felaco, psicologo e psicoterapeuta, che segue il bambino. E avvisa: «Sentirsi impotenti di fronte alla malattia, inattesa e improvvisa, sta generando sentimenti di disperazione e rabbia nell'intera società».

In particolare, la rabbia è legata a un profondo dolore interno, spesso di traumatico, «di cui non si ha sufficiente consapevolezza», come la storia di Antonio dimostra. «La risposta, dunque, non può repressiva, ma passa attraverso la comprensione delle proprie emozioni». Recuperare spazi di confronto e aggregazione, per esempio andare a scuola, in palestra o in parrocchia, aiuta.

Poi ci sono i centri per la Salute mentale. «Oggi in crisi», rimarcano in un manifesto Angelo Barbato (Istituto farmacologico Negri), Antonello D'Elia (Psichiatria democratica), Pierluigi Politi (cattedra di Psichiatria Università di Pavia, Fabrizio Starace (Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica), Sarantis Thanopulos (Società Psicoanalitica Italiana) «La cura è quasi totalmente affidata ai trattamenti farmacologici, spesso eccessivi o mal impostati, i servizi per i bambini e gli adolescenti sono palesemente inadeguati, il lavoro dell'inserimento nella comunità è sempre più limitato all'assistenza materiale». In declino anche la psicoterapia, ossia l'elaborazione soggettiva del dolore, la valorizzazione di desideri e sentimenti, il lavoro di ripristino di legami affettivi significativi. In questo ambito, i trattamenti rappresentano appena il 6 per cento del totale. Ecco perché «l'investimento di fondi Pnrr per la salute mentale deve essere centrato nel servizio pubblico e inserito in un progetto di suo rinnovamento organico», sottolineano i promotori del documento presentato all'Istituto italiano per gli studi filosofici e in questi giorni al centro della riflessione.

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Il Mattino