San Carlo, se Napoli è la grande assente: Muti e De Simone dimenticati

San Carlo, se Napoli è la grande assente: Muti e De Simone dimenticati
È di questi giorni la notizia dei lavori di restauro avviati dal San Carlo sul sipario storico di Giuseppe Mancinelli. Iniziato anche il conto alla rovescia per la...

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È di questi giorni la notizia dei lavori di restauro avviati dal San Carlo sul sipario storico di Giuseppe Mancinelli. Iniziato anche il conto alla rovescia per la riapertura al pubblico: si comincia il 14 maggio con «La traviata», non la più originale delle proposte possibili (è la sesta ripresa in quattro anni). In un contesto segnato dal tentativo di riprendere il dialogo con il pubblico - a proposito: ma quando il teatro annuncerà il numero di posti disponibili per sera - e il territorio, però, spiccano ancora irrisolti vari nodi che pure riguarderebbero la dimensione identitaria del teatro, inteso come massima espressione della cultura musicale napoletana.

Dello strappo apertosi tra il soprintendente e Riccardo Muti si è già detto, ma la questione torna dolorosamente d'attualità in coincidenza della tournée italiana del maestro con i Wiener Philharmoniker. Tournée che si aprirà a Ravenna, domenica, e che si sarebbe dovuta aprire al San Carlo, invece, se la data non fosse stata cancellata dalla dirigenza napoletana. Che la risoluzione di Lissner, per quanto lecita, fosse eccepibile è cosa rilevata da molti, a cominciare dallo stesso Muti. Non è solo questione artistica - per quanto di occasioni d'ascolto così sontuose sia doloroso fare a meno - ma pure di immagine, tenuto conto di quale peso assuma, specialmente a Napoli, la presenza di Muti. Tanto più in un momento storico caratterizzato dalla chiara necessità di non disperdere il rapporto di confidenza accumulato negli anni con il pubblico, la sua figura, affettuosamente legata al contesto napoletano e prestigiosamente proiettata in una dimensione planetaria, assurge al rango di testimonial irrinunciabile. Non bastasse lo spessore del musicista. E invece, tra il San Carlo e Muti si è aperto un gap inopinato che sarà doveroso cercare di colmare. A Napoli, il maestro è tornato a dirigere un mese e mezzo fa, ma al Mercadante, ospite del «Campania teatro festival». E sarà di nuovo in città a luglio, per festeggiare un compleanno importante, l'ottantesimo, tra le mura amiche del conservatorio di San Pietro a Majella.

Che il San Carlo e uno dei massimi direttori del nostro tempo, l'unico napoletano, non debbano sfiorarsi è inconcepibile; e se a Muti la cosa potrà arrecare dispiacere, al San Carlo - e a tutti noi - fa danno. Chissà, allora, che proprio il conservatorio non diventi luogo neutro di riappacificazione: l'ipotesi è plausibile, ma tutta da verificare. Anche perché - altra faccenda inspiegabile - il San Carlo non dialoga né collabora con il San Pietro a Majella, cioè con l'altra grande istituzione musicale cittadina, da molti anni, avendo preferito tessere accordi con il conservatorio di Benevento, che è scuola di valore indiscutibile ma sicuramente meno vicina, per affinità storica, alle vicende sancarliane. Manovre di riavvicinamento sembra siano comunque in atto tra i due poli musicali napoletani, ora che il conservatorio riparte con la nuova presidenza di Luigi Carbone.


Tra gli artisti napoletani illustri non coinvolti nel rilancio post lockdown del San Carlo c'è poi, ovviamente, Roberto De Simone, la cui conoscenza incomparabile in fatto di Settecento napoletano a proposito del riappropriarsi di una cifra culturale identitaria, riconoscibile e internazionale - avremmo creduto preziosa (anche in relazione alla costituenda Accademia di Canto lirico). Della «distrazione» dei vertici del San Carlo, però, il maestro non si duole più di tanto: «Per come hanno ridotto», dice, «l'acustica del teatro nel 2010, meglio restarne fuori».

Muti e De Simone sono qui citati - evidentemente - come riferimenti culturali il cui significato trascende la caratura artistica ragguardevole e il cui certificato di nascita non viene esibito per retrivo campanilismo, quanto per riaffermare l'esistenza un genius loci ostinatamente e forse insensibilmente negato, così da eludere un contatto empatico e compiutamente rispettoso con quel background che innerva, alimenta e difende la vita stessa del Teatro. Esistono segnali da lanciare al pubblico - ben venga il ritorno di Martone per «Otello», a novembre, dopo i fasti televisivi dell'Opera di Roma - e ignorarne l'importanza appare non sintomo di illuminata ampiezza di idee ma di sottovalutazione nei riguardi di una civiltà musicale straordinaria qual è la nostra.

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Il Mattino