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Hanno messo a segno centinaia di colpi. Per mesi, da Napoli a Milano, da Trieste a Genova, sono riusciti a raggirare ignari acquirenti di auto, ad impadronirsi di ingenti quantitativi di oli minerali e di lauti assegni che con uno stratagemma riuscivano ad incassare ancor prima di entrarne materialmente in possesso. Veri artisti della truffa online, i componenti di tre diverse bande di napoletani che facevano danni in lungo e in largo per l'Italia sono finiti ieri mattina in manette grazie a un'indagine condotta dai carabinieri di Genova, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica partenopea (pm Stefano Capuano e il procuratore aggiunto Rosa Volpe).
Cinquantanove le misure cautelari firmate dal gip di Napoli Anna Imparato): in carcere finiscono 46 persone, mentre per altre 13 scattano gli arresti domiciliari. Tra gli indagati figurano anche alcuni dipendenti postali. Un'operazione in grande stile, per la quale è stato necessario il supporto di militari dei comandi provinciali di Salerno, Varese, Venezia, Roma, Frosinone, Latina, Milano, Brescia, Lodi, Novara, Avellino e Pordenone. Settanta gli episodi contestati, sequestrati immobili, titoli di Stato e postali, distributori di benzina per un valore di quasi tre milioni di euro.
La Triade della truffa: al centro delle indagini, infatti, sono finiti tre gruppi di delinquenti specializzati nella commissione di frodi commesse su gran parte del territorio nazionale. Tutto è cominciato con una denuncia presentata a Genova, relativa alla compravendita di una macchina di grossa cilindrata.
Il terzo sodalizio, sempre con base a Napoli, strutturale, è risultata coinvolta nell'importazione dall'est Europa di olio industriale caricato su cisterne accompagnate da false bolle di trasporto. L'olio stoccato in un deposito del Salernitano veniva illecitamente miscelato con il gasolio allo scopo di allungarne la quantità per incrementare i ricavi derivanti dall'erogazione al dettaglio presso nove impianti di distribuzione ubicati nelle province di Napoli e Salerno, tutti controllati dalla stessa banda.
In tutti e tre i casi - e questo lascia immaginare che la strategia criminale fosse dettata da un'unica cabina di regìa, i proventi illeciti venivano progressivamente reimpiegati nella costituzione di società nei cui capitali confluivano anche i numerosi beni immobili e mobili acquistati nel tempo dal sodalizio per riciclare il denaro. Gli indagati avevano architettato trucchi e metodologie altrettanto raffinate: fingendosi acquirenti, si facevano inviare via WhatsApp dal venditore, le immagini del libretto di circolazione della vettura da vendere, che subito dopo duplicavano. Utilizzando le foto della vettura pubblicavano a loro volta un annuncio di vendita sul web e, una volta individuato l'acquirente giusto e realmente intenzionato all'acquisto, lo costringevano - dicendogli che erano molti interessati - ad inviare una foto dell'assegno circolare a loro intestato riportante la cifra d'acconto concordata. A questo punto il gioco era praticamente fatto: l'assegno veniva replicato e presentato per la riscossione.
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