Aveva deciso di scindersi dallo storico clan Vollaro e diventare autonomo. Così Giuseppe Iacone diventò il bersaglio dei killer della camorra di Portici e fu...
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Il processo, che si è celebrato al tribunale di Napoli, era stato rinviato a giugno perché in piena emergenza coronavirus uno dei giudici era risultato positivo al Covid 19. Durante la discussione il pubblico ministero Giuseppe Cimmarotta (che ha coordinato in codelega con Sergio Ferrigno le indagini condotte dai poliziotti del commissariato di Portici) aveva chiesto per tutti la condanna all'ergastolo. Secondo l'accusa fu Froncillo a sparare alle spalle e uccidere Iacone. Il 42enne era stato appena scarcerato nel 2004 e «radio camorra» vociferava del suo intento di fondare un clan autonomo a Portici per gestire l'affare droga e le estorsioni, in contrapposizione ai Vollaro. Un affronto che, secondo l'accusa, fu pagato con la vita. Le fasi dell'agguato sono state ricostruite anche grazie ai racconti di alcuni collaboratori di giustizia, che però non sono stati precisi nell'indicazione dell'esecutore materiale del delitto. Le prove erano più che sufficienti, invece, per indicare in Romagnoli il guidatore dello scooter dal quale fu esplosa una raffica di proiettili nel cuore del mercato.
Nocerino, Toti e Donadona ebbero un ruolo da protagonisti nelle fasi dell'organizzazione dell'agguato e per la sparizione dello scooter e dell'arma utilizzati. Inizialmente erano stati indicati come mandanti del delitto Pietro e Giuseppe Vollaro, ma per i due parenti del capoclan Luigi «'o califfo» non è stato ancora disposto il giudizio. In quel periodo, raccontano altre inchieste dell'Antimafia, a dirigere il clan in assenza di affiliati di «sangue» della famiglia Vollaro c'erano proprio Romagnoli e Froncillo.
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Il Mattino