Napoli, killer alla guida dell’auto del pm: la missione di morte del clan

Napoli, killer alla guida dell’auto del pm: la missione di morte del clan
Non sapeva di essere alla guida dell’auto di un magistrato, non immaginava neppure di aver scelto una macchina rapinata a un pm anticamorra, per andare a fare un agguato...

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Non sapeva di essere alla guida dell’auto di un magistrato, non immaginava neppure di aver scelto una macchina rapinata a un pm anticamorra, per andare a fare un agguato fuori città. Se ne accorge solo quando finisce in cella, nel carcere di Potenza, sfogandosi con amici e parenti: «Eppure io quel giorno, non stavo andando a fare un fatto mio, ma una cosa utile per tutti quanti...», alludendo alla mission che stava andando a realizzare in Calabria, prima di essere arrestato all’altezza di Vibo Valentia. Eccolo il retroscena della cattura di Fabio Vastarella, uno dei rampolli del cartello tornato prepotentemente egemone nel rione Sanità, protagonista negli ultimi anni della guerra contro gli Esposito-Genidoni-Mallo, ma anche - più di recente - contro gli ex alleati dei Sequino. Un affresco sanguinario, duro, quello che emerge dalla misura cautelare firmata dal gip Francesca Ferri ed eseguita sabato mattina proprio contro lo stato maggiore del clan capitanato da Patrizio Vastarella. Inchiesta dei pm Urbano Mozzillo e Enrica Parascandolo, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Filippo Beatrice, si svela un retroscena legato alla rapina di un’auto di un magistrato della Dda di Napoli (rapina regolarmente denunciata), poi destinata a un probabile attentato, dal momento che nell’abitacolo vennero trovati guanti di lattice e un apparecchio ricetrasmittente.

 

Retroscena e scenari inquietanti, che stanno alla base del blitz messo a segno dalla Mobile guidata dal primo dirigente Luigi Rinella. Agli arresti sono finiti Patrizio Vastarella, ma anche Antonio e Fabio Vastarella, Raffaele Vastarello, Raffaele Topo, Raffaele e Antonio Stella, Mike Korkoi, Daniele Pandolfi, Raffaele e Alessandro Ciotola, Salvatore Basile, Girolamo Esposito, Salvatore Capocelli, Vincenzo Di Lorenzo, Addolorata Staterini, Manuela Murolo, Gelsomina Galasso. Associazione camorristica, racket e armi a vario titolo mosse a carico di boss e gregari ritenuti responsabili di aver reagito alla strage delle Fontanelle (aprile 2016) nella quale vennero uccisi Giuseppe Vastarella e Salvatore Vigna. Un episodio drammatico, raccontato dai sopravvissuti, secondo quanto emerso da un’intercettazione ambientale. Antonio Vastarella - probabile target dell’agguato - riuscì a scappare, sfondando un muro di cartongesso all’interno del circoletto delle «Fontanelle» usato come raccaforte della cosca, scampando a decine di colpi. Immediata la reazione dei Vastarella, secondo quanto emerso anche dalle pagine di facebook degli affiliati, che proprio dopo aver subìto due morti, sembrano tifare per replica in grande stile. E tramite i social fanno arrabbiare il capo, con quelle frasi a senso unico: «L’inverno passerà», «la vendetta piatto freddo», «avete vinto la battaglia non la guerra». E la replica arriva il sette maggio del 2016, con l’omicidio di padre e figlio, Giuseppe e Filippo Esposito, legati a un affiliato al gruppo Genidoni. Scene di violenza, come il pestaggio subìto da un artigiano che si era rifiutato di fare un tatuaggio ad Antonio Vastarella, indicato nell’intercettazione - in senso dispregiativo - con l’alias «ha itt papà», in riferimento al suo modo di imporre la propria leadership sventolando la conclamata investitura paterna. Cosa accade all’artigiano di vico Lammatari? «Gli hanno spezzato le braccia», dice Dora, un trattamento che chiamerebbe in causa proprio Antonio e Fabio Vastarella. Sono decine gli episodi di questo tipo. Come la colletta raccontata dal pentito Rosario De Stefano, per risarcire Dora Staterini, la moglie del boss Patrizio Vastarella, alla quale qualcuno aveva incautamente rubato lo scooter. Ha spiegato il pentito: «Tutti i mariuoli della Sanità fecero la colletta, raggranellarono fino a tremila euro, per comprare il motorino alla moglie di Patrizio Vastarella». Seguì l’immancabile pestaggio di un uomo dei Sequino, indicato come responsabile. Scenari che ci spostano da una faida all’altra, con una svolta favorevole per il clan Vastarella in relazione alla decisione di Carlo Lo Russo (oggi pentito) di uccidere il boss Pietro Esposito (novembre 2016), che fa esclamare allo stesso mandante una frase che la dice tutta sull’avvento dei Vastarella: «Gli ho messo il mesale a tavola», a proposito dello spazio vuoto creato per la conquista del rione Sanità. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino