Via Fani lontana nel tempo, gli studenti di Napoli: «Moro chi?»

Via Fani lontana nel tempo, gli studenti di Napoli: «Moro chi?»
Via Fani è lontana, nello spazio e anche nel tempo. Quarant'anni dopo, le tracce restano impresse nella memoria, ma quasi solo di chi quel 16 marzo era...

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Via Fani è lontana, nello spazio e anche nel tempo. Quarant'anni dopo, le tracce restano impresse nella memoria, ma quasi solo di chi quel 16 marzo era nell'età della ragione. Se chiedi chi erano Aldo Moro e le Brigate Rosse a studenti, figli di genitori che quando loro stessi erano studenti quella strage e quel rapimento hanno vissuto come una cesura, si fa fatica a estrarre una risposta. E c'è sempre qualche spiritoso che scambia Aldo per Fabrizio. «Non mi avete fatto niente». E vabbè.


Ma non è sempre così. Certo è più fresco il ricordo dell'11 settembre, dell'attacco alle Torri Gemelle di New York. Per gli adolescenti di oggi, il terrorismo è quello. Il più facile dei test, fuori e dentro due dei più prestigiosi licei napoletani, l'Umberto di Chiaia e il Sannazaro del Vomero, dà esiti alterni. C'è chi sa e chi non sa. I secondi sono molti di più. Non è ignoranza, però, è distanza. Nel tempo e nello spazio. Quarant'anni è una lunghezza degna di finire nei manuali di Storia e ci è finita. «Ma non si arriva mai con il programma fino a là» si giustifica Ilaria che frequenta l'Umberto. Mai sentito parlare di via Fani anche fuori dalla scuola? Un'alzata di spalle, uno sguardo inquieto, un fremito da interrogazione quando si è impreparati. E poi, quando il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana gli viene rapidamente riassunto, un sorriso e un sospiro: «Spero che non lo facciano uscire all'esame di Stato». Matteo che l'esame lo farà quest'anno è diretto: «Mai sentito parlare. L'attualità non si fa a tempo a studiarla. Talvolta, però, siamo noi studenti a chiedere ai prof di spiegarci qualche evento di cui ricorre l'anniversario. Oggi per me è un giorno come gli altri».

Benedetta franchezza. Non fu così quarant'anni fa, quando tutti gli studenti furono fatti uscire in fretta e furia. A casa, a casa. O furono chiamati i genitori per farli venire a prelevare. Nessuno era in grado di prevedere che cosa sarebbe successo. Era l'attacco al cuore dello Stato. Non un semplice giorno di vacanza. E gli echi del 77, con la scia di violenza metropolitana e creatività da controcultura, rimbombavano vivaci. Al Vomero, a interrogare i ragazzi all'uscita, un occhio allo smartphone un altro al motorino, le risposte cambiano di poco. «Forse all'ultimo anno lo studieremo il caso Moro, ma io non ne ho mai sentito parlare» si schermisce Michela che frequenta il primo del liceo. Neanche al ginnasio se n'è discusso? Il movimento della testa di chi ascolta la domanda, è inequivocabile. No. Ma in televisione, sui giornali, sui social? Idem. Tra padri e figli si viaggia in direzioni parallele che non convergono, alla faccia delle proiezioni politiche dello statista che voleva aprire ai comunisti. «Ne ho sentito parlare a casa proprio in questi giorni» si fa avanti Andrea Coraggio, anche lui al primo anno di liceo. «Ma non saprei contestualizzare». È rimasto incuriosito dal racconto del padre che quando la scorta di Moro fu massacrata dai terroristi avrà avuto la sua età, poco più poco meno. «Era un politico ucciso dalla mafia?» azzarda un altro studente che preferisce glissare sul proprio nome, soprattutto quando gli si risponde con un secco no.

 

Non c'è solo la strage della scorta, il 16 marzo 1978, comunque. Il sequestro tenne con il fiato sospeso il Paese e il mondo occidentale fino al tragico epilogo del 9 maggio. Cinquantacinque giorni lunghissimi, con lo stillicidio dei comunicati e delle lettere dalla prigione del popolo. Adesso, quattro decenni dopo, un compito in classe in due mesi ci può sempre scappare, meglio provvedere a tempo. Magari una puntatina su Wikipedia. Tanto sui social, nel giro degli adolescenti un link o un commento su Moro è difficile che spunti fuori. Il professor Francesco Parisi che al Sannazaro insegna Storia e Filosofia e tiene corsi di educazione civica e alla cittadinanza ha affrontato proprio ieri la discussione con i ragazzi. «Va detto che in questo 2018 abbiamo molti anniversari» premette. «La Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948, il Sessantotto e il rapimento di Moro. Giusto per dirne qualcuno». Fa leggere i quotidiani in classe e nel giorno cruciale della commemorazione non c'era un giornale che bucasse la ricorrenza. «Anzi hanno cominciato da un po'». Ed è facile per Parisi riandare con la propria memoria al suo 16 marzo: «Ero a scuola, in quinta elementare e ci fecero andare tutti a casa». Non è era tutto chiaro a quell'età, eppure la traccia, con le dosi di richiamo di anniversari, quinquennali e decennali, è stata costantemente rinfrescata. «I ragazzi di oggi fanno molta fatica a capire quegli anni. Se mi capita di usare la definizione di Balena Bianca per la Democrazia Cristiana mi ritrovo di fronte solo facce perplesse». È il minimo, magari persino la stessa Dc è un oggetto sconosciuto. Ha provato anche a spiegare i sistemi elettorali. Ma tra maggioritario e proporzionale non si orientano manco schiere e schiere di adulti, figuriamoci delle matricole del voto.

Ieri l'appuntamento con la lezione di educazione alla cittadinanza non ha potuto evitare di raccontare l'inizio della tragedia di Moro. Per molti è stata una scoperta, per altri un modo per mettere in ordine suggestioni diverse, mezze frasi captate un po' a caso, tra le discussioni in famiglia o con qualche rievocazione in televisione. «Ho avuto modo di conoscere la vicenda di Moro perché l'abbiamo studiata già alla scuola media» spiega Sara della IV B, come gli altri compagni che hanno ripercorso le prime tappe del rapimento e la lunga e contorta strada della trattativa mai avviata. «Ma ho pure ascoltato delle discussioni in famiglia. Mia madre di ha raccontato che quando si diffuse la notizia della strage di via Fani, pure per lei che aveva solo 12 anni seguirono giornate di grande preoccupazione e sconforto». Anche Luigi De Martino ha già conosciuto Moro dalle scuole medie: «Alla prova orale dell'esame di terza. Ma non ricordavo la data dell'anniversario. Se ne parlò per settimane e settimane. Mia madre che allora frequentava le elementari mi ha detto che per giorni molte sue compagne di classe non andarono a scuola perché i genitori avevano paura a farle uscire di casa». Andrea ne ha sentito discutere molto in famiglia e riesce contestualizzare quegli anni di terrorismo: «Fortunatamente sono cambiate molte cose da allora. In particolare per noi giovani». Alessandro Mercogliano, quando ha sentito parlare dell'anniversario, ha chiesto al padre: «Conoscevo la storia vagamente e adesso trovo estremamente ingiusta la morte di Moro». Ad ammettere di non saperne nulla prima che se ne parlasse a scuola è Adriana Carfagna: «Mi ha colpito molto e sono subito andata su internet per informarmi». Quarant'anni dopo è forse più facile saperne un poco di più, rapidamente, con qualche click. Ogni generazione sceglie la sua strada.
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Il Mattino