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Giusto 40 anni fa, nel 1983, formò con Ciro Maggio il duo Bibì & Cocò: «Ma facevo ridere anche da piccolo. Mio padre mi raccontava che un giorno, in auto, ci fermammo a Forlì per chiedere informazioni sul tragitto; incappammo in un balbuziente e io, durante il resto del viaggio, mi divertii a imitarlo. Avevo quattro, cinque anni. A sei organizzavo recite nel garage di casa con i miei fratelli... poi il teatro al Don Guanella... e tanto altro. Nel 1997, però, fu "Macao", di Gianni Boncompagni su Raidue, a darmi notorietà nazionale, tanto che oggi posso scegliere cosa fare e cosa no. Per esempio, ho deciso di rinunciare alla televisione per un po'. Sai, se si incontra un amico ogni tanto, fa piacere; se lo si vede ogni giorno, si rischia la noia».
Biagio Izzo si racconta alla vigilia di «Balcone a tre piazze», novità di Mirko Setaro e Francesco Velonà, che debutterà domani nella stagione dell'Augusteo. Con lui, in scena, saranno Mario Porfito, Carla Ferraro, Roberto Giordano, Adele Vitale e Ciro Pauciullo. La regia è di Pino L'Abbate; repliche fino a domenica 12.
Izzo: «Un fatto è sicuro, si ride.
E gli altri? «Stessa sorte. C'è l'avvenente vicina di casa, ci sono l'amante e un improbabile rapinatore. Tutti, per vari motivi, entrano da quel balcone e il povero Alfredo non sa come dividersi. Non svelo il coup de théâtre finale, ma riuscirò a ricomporre un'armonia, citando addirittura Seneca: "Il vero navigatore si vede nella tempesta"».
Torniamo alle origini di Bibì e Cocò: «Mi piacevano i Brutos e la loro fisicità. Per imitare l'unico dente che sfoggiava il leader del gruppo, Gerry Bruno, mi attaccai sugli altri delle gomme alla liquirizia. Perché? Il segreto è suscitare curiosità nella gente. Volevo essere leggero ma a modo mio, una sorta di Masaniello, un trasgressivo amico del popolo contro il potere, ma senza i suoi eccessi. Il mio Bibì era un clown fisico, con gli occhi storti e un dente in bocca, non il solito comico in giacca a quadri. Mi sentivo libero». Poi? «Poi, un giorno presi uno schiaffo da un camorrista perché eravamo arrivati tardi alla sua festa e dissi: basta. Quel ceffone mi cambiò la vita e mi portò fortuna. Cominciai a fare provini, incontrai Boncompagni».
Ma nella carriera di Izzo c'è anche il registro drammatico: «Certo! E penso ai "Fratelli De Filippo" di Rubini, a "Tiro libero" e a "Come saltano i pesci", di Alessandro Valori, dove sono un uomo che perde la moglie e passa il tempo del film in sala mortuaria. L'attore deve far ridere e piangere, ma è importante che sia guidato da un buon regista, altrimenti il comico può diventare patetico».
E qual è il segreto di un buon comico? «Essere al passo coi tempi, stare sul pezzo e guardare il mondo con ironia e leggerezza. E non c'è problema: anche la vita vera io l'affronto con gioia, e ringrazio di essere nato, perché sento di aver ricevuto un dono».
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