Noemi, dopo il murale ​doniamole un'altra città

Noemi, dopo il murale doniamole un'altra città
Ieri si è svolta a Napoli una cerimonia molto commovente. È stato inaugurato il murales che ritrae il volto di una bambina, due occhi segnati di rosso, di stanchezza...

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Ieri si è svolta a Napoli una cerimonia molto commovente. È stato inaugurato il murales che ritrae il volto di una bambina, due occhi segnati di rosso, di stanchezza e di pianto. Due occhi iperrealistici e romantici su uno sfondo rosa, così artificiali da apparire reali. Forzano in ogni direzione il vincolo della referenzialità, del riferimento moralmente obbligato al loro soggetto e si rivelano capaci, proprio in virtù di una tensione universalistica che dispiega tutti gli strumenti a disposizione della cultura pop, di esprimere con notevole intensità la coscienza del dolore: lo sbigottimento di fronte all’urto improvviso della ferocia degli adulti; la dolente severità che solo la conoscenza, la più crudele, è in grado di infondere allo sguardo di un individuo. La responsabilizzazione, infine, di chi guarda, attratto, come sempre accade nella comunicazione pubblicitaria, dallo sguardo raffigurato, dipinto o fotografato che sia.

Quegli occhi, quel volto, sono di Noemi Staiano che il 3 maggio di due anni fa, era il 2019, fu colpita al petto dal proiettile vagante sparato da due camorristi che miravano ad un altro bersaglio. Dopo settimane e mesi in cui a Napoli si è combattuta la strana battaglia per il controllo dei muri, la cerimonia di piazza Nazionale è come un’occasione risarcitoria che la città offre a sé stessa. Carico, inevitabilmente, di un valore civile che trascende i termini della tragedia privata di una famiglia e della loro piccola, il ritratto dipinto da Giulia Salamone e Vittorio Valiante si iscrive nel conflitto dei simboli che attraversa da tempo Napoli e che la cronaca recente ci dice essersi fatto più acceso. Si tratta di un conflitto per lo spazio pubblico che non potendo fare più appello a nessuna forma discorsiva affida alle immagini, alla iconicità ad alta intensità emotiva dei volti, il compito di veicolare il senso del proprio messaggio.

Si tratta sempre di volti di giovani. Di una giovinezza arrischiata, violenta e aggressiva, da un lato; inerme, indifesa, innocente, dall’altro. Di vite, in ogni caso, segnate dalla brutalità, per averla inflitta o per averla dovuta subire quando, se mai è possibile mettersi al riparo da un oltraggio simile, niente permette al bambino di fare fronte all’irruzione inattesa e abnorme della violenza.

Una didascalia accompagna e commenta l’immagine di Noemi. È una frase del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, impiccato dai nazisti nel campo di concentramento di Flossenbürg il 9 aprile 1945. Il senso morale di una società, scrive Bonhoeffer, si misura su ciò che fa per i suoi bambini. È una di quelle frasi celebri che si ripetono in continuazione, decontestualizzata fino alla banalizzazione e che, se la prendessimo realmente sul serio, ci toglierebbe il sonno. Ma compare, qui, sotto il volto di una bambina a cui due delinquenti hanno sparato e risponde ad un bisogno collettivo di risemantizzazione dello spazio urbano. Ieri a piazza Nazionale si sono ritrovati insieme ai genitori di Noemi i rappresentanti delle istituzioni cittadine e nazionali, la Chiesa e lo Stato, l’arcivescovo di Napoli e il prefetto; il ministro degli Interni, da Roma, ha fatto giungere un suo messaggio. 

In un luogo in cui è avvenuto un misfatto, la posta in gioco è sempre la memoria, che vuol dire la base sulla quale una comunità ricostruisce i presupposti della sua convivenza. Per il ministro Lamorgese si tratta del diritto di tutti i bambini di vivere in una città senza mafie. È una di quelle affermazioni sostenute da un intento pedagogico comprensibile. Si comprende la violenza criminale in tutta la sua portata se non si dimenticano gli occhi della bambina che ne è stata vittima.

Ma bisognerebbe fare un altro tipo di esercizio. Bisognerebbe cercare di immaginare Noemi tra vent’anni, una giovane donna ormai, che ha studiato, è cresciuta, si è innamorata a Napoli, ha conosciuto il mondo, come le auguriamo di cuore, e conosce Napoli (nel male e nel bene che è ancora in grado di dispensare). Che città sarà quella della sua vita adulta? Che città vogliamo che sia quella che accoglierà e sosterrà la sua giovinezza?

La memoria è diventata l’ossessione della nostra forma culturale tardo moderna come se si potesse solo ricordare, che se altro modo di comprendere la genealogia del vincolo sociale non esistesse. Ma ricordare non sempre è il modo migliore di comprendere il passato. Anzi non lo è quasi mai, perché la memoria è sempre legata alle passioni particolari di chi ricorda, sia esso un singolo o un gruppo e per questo è continuamente insidiata dalla minaccia della delegittimazione (altri ricordano altre cose e diversamente). Anche dal punto di vista della bambina aggredita non è affatto detto che ricordare sia per lei un buon affare. Viceversa l’oblio è una terapia necessaria per poter ricominciare, per provare a ricostruire il nucleo mandato in frantumi da quel proiettile che la colpì due anni fa. Per questo dovremmo smetterla di coltivare questo culto funebre del passato che è la memoria e rivolgerci finalmente con uno sguardo fiducioso al tempo che non è ancora venuto. Perché questo tempo, il famigerato futuro, è la responsabilità del nostro presente. Il grande compito morale che abbiamo davanti a noi e al quale non dovremmo volerci sottrarre.

È anche l’unico modo che abbiamo per cercare di garantirci dal passato che ritorna, dalla sua minaccia sempre incombente: lavorando alacremente alla rimozione delle sue persistenti condizioni di possibilità: un impegno che è appunto l’orizzonte morale del presente in vista di un futuro diverso. La memoria, invece, il suo culto corrivo nell’Italia dei nostri anni è il lamentoso e malinconico ripiegamento su un passato mai rischiarato dalla luce della conoscenza. Conoscere il passato non significa affatto ricordarlo come qualcuno, un po’ ingenuamente, pensa che significhi la storia. Per quanto possa apparire paradossale, la storia, lo studio del passato, è l’unico modo che abbiamo per sbarazzarci del suo peso. Per liquidarlo una volta per tutte. Facciamoci un regalo e facciamolo al piccolo volto di bambina che ci guarda con i suoi occhi stanchi da un muro di piazza Nazionale a Napoli nell’anno del Signore 2021: diamole una città decente. Soprattutto, diamola a Noemi, la bellissima bambina che è oggi e che diventerà la giovane e bellissima donna di domani.
 

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Il Mattino