Alessandra Clemente, l'icona anticamorra ridotta a pedina ​di scambio nelle mani di de Magistris

Alessandra Clemente, l'icona anticamorra ridotta a pedina di scambio nelle mani di de Magistris
Mentre il Movimento cinque stelle e il Partito democratico cercano un accordo sul nome del prossimo candidato sindaco al Comune di Napoli - Fico, Amendola o il ministro Manfredi...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Mentre il Movimento cinque stelle e il Partito democratico cercano un accordo sul nome del prossimo candidato sindaco al Comune di Napoli - Fico, Amendola o il ministro Manfredi sarà da vedere -, Luigi De Magistris cerca con il proprio candidato, Alessandra Clemente, un posto al tavolo delle trattative. Non certo perché creda seriamente di poter imporre la propria scelta alle forze maggiori, ma con l’ambizione, questo sì, di ottenere qualcosa in cambio per la rinuncia a far correre il suo assessore. L’attuale sindaco di Napoli ha un seguito residuo, voti che possono fare la differenza; più che legittimamente intende farli pesare. 

Ma c’è una domanda tuttavia che viene spontaneo porsi. Cosa ne ricava Alessandra Clemente? Se infatti è alquanto improbabile che l’ormai abusatissimo concetto di “campo largo” voglia significare, nel suo caso, che i partiti che oggi stanno al governo del paese, con sempre maggiori difficoltà per altro, rinunceranno ad un loro candidato per confluire sul nome indicato dall’attuale sindaco di Napoli, appare più verosimile il contrario. Ottenuta una qualche compensazione, de Magistris lascerà andare la Clemente, pur tra molti complimenti ed elogi, e si accoderà alla decisione del contraente più forte, che oggi è con tutta evidenza il duo Pd-M5s. Non sarebbe la prima volta. La politica miete continuamente e con esibito cinismo le sue vittime sacrificali. Non sarà certo l’ultima. Ma la domanda resta, cosa gliene viene ad Alessandra Clemente, chi glielo fa fare?

Anzi, la domanda vera è un’altra, sollecitata dalle considerazioni di cui sopra: qual è a Napoli la sorte dei testimoni civili della violenza criminale? Essere una vittima innocente fa di Alessandra Clemente una interprete privilegiata dell’ansia di riscatto della città. Il suo impegno etico-civile si traduce in una funzione di rappresentanza politica e questo giustifica il suo ruolo attuale di assessore e oggi la sua candidatura a sindaco. Siamo così abituati a sillogismi di questo tipo che non ne avvertiamo minimamente la natura problematica. 

Ci sono eventi che si imprimono in un modo tanto emotivamente violento nella coscienza di una comunità che i suoi protagonisti vengono fatalmente attratti in uno spazio di idee astratte e come tali spendibili nello scambio simbolico. Alessandra Clemente è la figlia di Silvia Ruotolo e questo ha una eloquenza potente che parla alla coscienza pubblica dei cittadini. Ma proprio per questo, “la figlia di Silvia Ruotolo” è un valore di scambio, un simulacro che annulla la concretezza in questo caso della persona di cui è appunto segno e ne soppianta la realtà. Attorno a questo simulacro si costruiscono narrazioni - l’impresa di chi si batte per venire a capo del dolore e dell’odio, l’identificazione di una bambina a cui fu brutalmente portata via sua madre e la città, che pretende di aver perso allora la sua innocenza e cerca una via d’accesso al futuro; attorno a questo simulacro, soprattutto, si raccolgono personaggi perché ne ricevano luce, una qualche forma di legittimazione morale o anche, più banalmente, notorietà. In una parola, esso diventa occasione di consenso da spendere come moneta sonante in quel grande mercato del consenso che è il gioco politico elettorale. 

Ma resta un elemento cruciale in questo processo di identificazione tra la realtà e la sua immagine: vale a dire lo spossessamento di sé. Alla fine l’immagine appartiene a chi la manipola e non all’individuo concreto che la esprime. Accanto al simulacro c’è la donna generosa che si è spesa nobilmente in questi anni in una infinita serie di progetti che sono stati insieme un atto di dedizione civile, una testimonianza di coraggio, e un modo per venire a capo della propria tragedia, per restituire un senso ad un evento “casuale” privo di senso. 

Dal lato della persona in carne ed ossa che ha subito l’oltraggio questo non significa certo essere un simbolo. Significa piuttosto la fatica di chi ha dovuto penetrare il senso di una identità e assumere su di sé il peso di una storia, la storia tragica della propria vita, e insieme costruirla. Il lavoro di questa faticosa costruzione personale si è tradotto “all’esterno” in una operosità al servizio dell’edificazione della coscienza comunitaria, un impegno senza risparmio sul fronte del volontariato civile, della relazione di cura, del sostegno e della prossimità. È stata ed è una testimonianza di militanza, un deposito di esperienza e di risorse a cui può attingere la coscienza della città. Ma è innanzitutto lavoro personale compiuto su di sé. Rispetto al quale chi lo compie porta la responsabilità precisa di non disperderlo, di sottrarlo a qualsiasi uso strumentale di quanti appunto trasformandolo nel segno di un qualche significato di portata generale, in una bandiera, ne facciano poi occasione di negoziazione. E allora, se è verosimile che un sindaco, che si è appena salvato per il rotto della cuffia grazie a transfughi della sua opposizione di destra, cerchi a sinistra la risposta alla domanda fatale: che sarà di me dopo che non sarò più sindaco?; appare un po’ meno spiegabile che una donna, alla quale questo stesso sindaco deve la sua ultima chance, accetti un gioco così scoperto e così poco edificante, che la relega fra l’altro nel ruolo passivo di un oggetto di decisioni prese in un consesso di soli uomini e in cui non pare che a lei tocchi una qualche voce in capitolo.

 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino