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Si fa un gran parlare di vaccini, dosi, richiami, in cui «la» scienza è tirata in ballo così: al singolare. Come se fosse una singola cosa individua, e non invece un insieme di pratiche, discorsi, istituzioni, esperienze, esperimenti, protocolli, metodi. Una cosa mi pare evidente, che si è perso completamente di vista quel che da essa, dalla scienza, ci si può aspettare. E il modo in cui l’opinione pubblica reagisce ai drammatici casi avversi segnalati in cronaca mi pare che di ciò dia conferma.
Tutti sappiamo che la scienza è arrivata al vaccino in un tempo record, ed è sicuramente un risultato straordinario. Ma che genere di risultato è? È come un trofeo, che una volta vinto è tuo per sempre? O come la scoperta dell’America, che nonostante la deriva dei continenti bene o male sempre lì sta, e non si è spostata di molto dai tempi di Cristoforo Colombo? No, non è niente del genere. Il più grande filosofo della scienza del Novecento, Karl Popper, che qualcuno – forse esagerando un po’ – erigerebbe volentieri a nume tutelare del pensiero critico, spiegò quasi cent’anni or sono che gli asserti scientifici possiedono una caratteristica irrinunciabile: sono falsificabili. Il che vuol dire, molto semplicemente: che non sono scientifici perché veri, definitivamente veri, irresistibilmente veri. Sono veri solo fino a prova contraria, e gli scienziati questo fanno: cercano le prove contrarie. Se non le trovano, tutti contenti considerano corroborati i loro asserti. Se le trovano, buttano a mare quegli asserti e si mettono a caccia di nuovi. In tutto ciò, procedono in modo che i risultati che ottengono siano sempre verificabili, controllabili, riproducibili.
Non ho difficoltà a riconoscere che questa visione dell’impresa scientifica è parecchio idealizzata, e gli storici della scienza lo hanno ben mostrato. Resta però il fatto che nessuno scienziato serio si sognerebbe mai di mettere il sigillo della definitività su una qualunque teoria, figuriamoci se lo può fare su ipotesi, su dati ancora incompleti, su risultati raccolti in tempi bruscamente accelerati da una emergenza mondiale.
Si dà perciò il caso che quel che oggi la comunità scientifica considera validato, può essere invalidato domani.
Il ridicolo di queste domande è direttamente proporzionale all’irrazionalità di un simile dibattito, che rischia di travolgere quel che di buono è stato fatto nei mesi scorsi: una vaccinazione massiccia, in tempi rapidi, in maniera ordinata, con grande sollievo per la salute pubblica e qualche chance di ripartenza per il Paese. In un orizzonte per definizione incerto, da cui nessuno può dire, se non perché gli mettono un microfono sotto il naso e una telecamera davanti al viso, quando e come se ne uscirà. Quindi, calma e sangue freddo: diamo tutti una mano al Paese se non chiediamo la luna, se non cerchiamo capri espiatori, se non avanziamo pretese impossibili, Se accettiamo, come diceva Pascal, di lavorare per l’incerto. Se poi gli illustri virologi che frequentano i salotti televisivi si prendessero una o due settimane di vacanza sono sicuro che ne guadagneremmo tutti. (Io, di mio, ci ho messo che ho scritto un articolo intero senza mettere un solo nome di politico, o di giornalista, o di scienziato, che avrebbe meritato ampiamente di essere sbertucciato vuoi per lo sfoggio di sicumera, vuoi per l’irresponsabilità di certe dichiarazioni, vuoi per la confusione generata).
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